Vetriolo, nel bosco spunta una miniera preistorica: qui estraevano il rame tremila anni fa
Sono stati i mezzi forestali incaricati di ripulire il bosco dopo Vaia a intercettare una «discarica» di scarti: «Ritrovamento importantissimo, abbiamo molti forni fusori in Trentino, ma di quell’epoca nessuna attività estrattiva»
VETRIOLO. La tempesta Vaia non ha abbattuto solo migliaia di alberi e aperto nuovi panorami sulla Valsugana. Sul versante del Monte Fronte, il disastro di fine ottobre 2018 ha anche fatto venire alla luce tracce di una vasta attività mineraria risalente alla tarda Età del Bronzo (XIII-X secolo avanti Cristo), su cui ci sarà da indagare probabilmente per diversi anni.
L'area archeologica per ora indagata , tra i 1.720 e i 1.770 metri di quota, non era sconosciuta: era stata indicata infatti già negli anni '60 del secolo scorso dall'ingegnere minerario austriaco Ernst Preuschen (scopritore dei forni fusori al Passo Redebus), che aveva ipotizzato la presenza nel luogo di una discarica mineraria con depositi connessi ad attività di arricchimento del minerale di rame. Ma non erano seguite ricerche più approfondite.
Fino a quando, nel 2020, a seguito della tempesta Vaia, la realizzazione di piste per il recupero del legname ha fatto emergere numerosi utensili litici e ceramica che hanno confermato la datazione alle fasi più recenti dell'età del Bronzo. L'intervento di tutela archeologica effettuato nel corso del 2020 ha comportato il recupero dei materiali, il telerilevamento con drone dell'area, il rilievo delle sezioni esposte interessate da depositi archeologici e infine piccoli sondaggi di scavo.
L'esame preliminare dei dati acquisiti ha confermato quanto già indicato da Preuschen, lasciando presagire una notevole estensione dell'area, fortemente interessata da sequenze di depressioni e discariche presumibilmente connesse all'attività mineraria preistorica.
La datazione dei reperti emersi ha inoltre confermato che il sito minerario di Vetriolo è l'unica area estrattiva di età pre-protostorica ad oggi individuata in tutto il Trentino-Alto Adige.
L'Università di Bochum, noto centro di ricerca di eccellenza nel campo dell'archeologia mineraria e metallurgica, è così stato incaricato un anno fa di condurre una prima campagna di indagini preliminari nell'area, che ora prosegue senza attività di scavo archeologico ma solo di ricognizione e documentazione delle strutture sul terreno, avvalendosi di droni, carotatori meccanici per prelevare campioni di terreno ed eventuali tecnologie di documentazione tridimensionale e di indagine non invasiva (tipo georadar).
La campagna sarà curata del professor Aydin Abar del Dipartimento di Scienze Archeologiche. A dare l'autorizzazione alle indagini nei giorni scorsi sono stati sia la giunta comunale sia la Soprintendenza per i beni culturali. Spiega l'archeologa Elena Silvestri, dell'Ufficio Beni archeologici: «I colleghi tedeschi sono partiti in questi giorni con una campagna di ricognizione che consiste nel percorrere le strutture rinvenute e quantificarne l'estensione. Per ora si tratta di tracce molto labili sul terreno, che fanno pensare a discariche di materiale di scavo. Non ci sono minerali o reperti preziosi, ma per noi questo ritrovamento ha un valore inestimabile perché si tratta di un contesto estrattivo unico nella regione. Abbiamo infatti molti forni fusori, oltre 200, mentre di miniere di quell'epoca non ce ne sono». In corso c'è anche la datazione tramite Carbonio 14 di quanto già repertato: i dubbi però sono pochi.