Il bostrico uccide i nostri boschi: «Solo in Val di Sole abbiamo perso forse 70 mila piante»
Viaggio sulla prima linea dei forestali: «Chiazze sempre più ampie, la gente comincia a preoccuparsi di perdere le proprie abetaie». E così anche in Valsugana e in Val di Fiemme, il dopo Vaia è una emergenza ambientale
MALE’. Gli abeti rossi, in val di Sole, portano ancora i segni della guerra: schegge di granate che li hanno infilzati. E loro, attorno a quella ferita, sono cresciuti: non basta una granata a schiantare un abete rosso. Eppure ce la fa un insettino di 4 millimetri, che entra nella corteccia, ne fa la propria casa scavando cunicoli che sembrano opere d'arte e prima o poi uccide la pianta. Le piante. Una alla volta.
Il bostrico si prende una foresta, se ci sono le condizioni giuste. Risultato: i versanti delle montagne sono sempre più rossi, in val di Sole. I turisti non capiscono e storcono il naso. «E la gente di qui inizia ad avere un po' paura, ormai teme di perdere i suoi boschi» dice Luca Colato, custode forestale del Comune di Vermiglio, mentre guida su per il bosco di Plane Mont.
La frontiera della lotta contro il bostrico passa da tante trincee: Valsugana, val di Fiemme su tutte. Quella di Vermiglio però è particolare, qui il bostrico ha iniziato a far male prima di Vaia, in questi boschi di abete rosso in parte piantumati artificialmente dopo la Grande Guerra. «Dal 2013 abbiamo perso, per bostrico, 53 mila alberi. Ma non abbiamo ancora contato i danni della seconda e terza generazione di quest'anno. Ce ne aspettiamo almeno altri 20 mila» fanno il conto il direttore distrettuale della Forestale di Malé Fabio Angeli e Mauro Zambelli, il comandante della stazione forestale di Ossana.
Loro - con gli appuntati scelti Adriano Caldera e Luigi Pedri - sono la testa d'ariete di una guerra fatta tra trappole con feromoni, fotocamere termiche e alberi picchio, cercando un equilibrio tra esigenze boschive, di sicurezza ed economiche. Perché 53 mila alberi sono, anche, 2 milioni di euro.
Qualche sindaco e qualche turista vorrebbe che si tagliassero tutte le piante colpite. Non si può e non si deve. «È un lavoro nuovo, non è come gestire i boschi in modo ordinario. L'obiettivo è assecondare la natura, che si rigenera. Si piantumano alberi solo quando necessario - spiega Caterina Gagliano, del Servizio foreste - serve pianificazione, perché dal servizio va chiarito che tipo di interventi fare, serve progettazione, per calare le direttive nei casi concreti, ma servono anche prudenza e chiarezza sulle priorità, perché non si riesce ad intervenire ovunque».
Sono le sue quattro P, sulla strada verso un equilibrio non facile da trovare. Perché togliere le piante appena ammalate - dove possibile - rende più difficile la proliferazione. Ma espone i versanti a rischio idrogeologico. E rende difficile la rigenerazione: se si eliminano aree intere di piante, nell'humus senza più ombra crescono ortiche e lamponi. Ma piccoli abeti non se ne vedono. Preferiscono le ceppaie. S
i taglia, comunque. Ovvio. E si mette in vendita - tra i 50 e i 60 euro al mq, quando si salva la qualità. A Vermiglio prima del bostrico si tagliavano 6.500 mq di legname, ora siamo a 10 mila netti. «E ne va dell'orgoglio della popolazione - osserva Colato - erano fieri di fare tagli che non si vedevano nel paesaggio». Ora invece le chiazze sono evidenti.
«Spesso si discute a lungo sulla gestione di una singola area» spiega il direttore Angeli. Ma è il comandante Zambelli che dà tutto il senso della trincea: «Parlarsi è importante. Perché quando vado a segnare il bosco ho un po' di apprensione, perché voglio essere sicuro che facciamo bene». Perché chi ha passione per quello che fa, vuole farlo al meglio. Ma qui la frontiera è inesplorata.
Se c'è da tagliare, comunque, la forestale segna la pianta: ogni agente un suo marchio, da mettere sul tronco due volte, a monte e a valle, per permettere una verifica "postuma". Ma l'obiettivo è non farsi prendere di sorpresa. Quindi il monitoraggio è costante, in tutto il Trentino sono 226 le trappole: i feromoni richiamano l'insettino, che resta intrappolato. E poi dall'alto, si sta studiando - in campo c'è la Fem - come monitorare una pianta sotto stress.
«Per ora non si può distinguere tra stress idrico e bostrico, ma si monitora settimanalmente» spiega Gagliano. Quando si interviene, lo si fa con due accortezze: lasciare le "piante picchio", che sono quelle che ospitano il picchio, naturale antagonista del bostrico. E non esporre versanti delicati: «Qui c'è la statale, non si può lasciare senza piante - spiega Angeli, mostrando il versante ripido a monte della statale per il Tonale - quindi quelle piante là sono state tagliate e lasciate a terra. Non basta a fermare la neve, ci sono anche le barriere anti valanga, ma aiuta».
In altri casi le piante vengono tagliate lasciando a terra il primo metro di pianta. Anche questo, per frenare lo scivolamento della neve. Perché anche da morte le piante riescono a fare la loro parte.