In Marmolada il ghiacciaio sta sparendo, ma a soffrire sono tutte le Dolomiti
Sulla Regina certificata una regressione che nel punto massimo tocca i 90 metri l'anno: le ricerche condotte da Università di Padova, Comitato glaciologico e Arpav. Al problema ambientale si somma quello economico, caratterizzato dai ritardi di un processo di conversione dall'industria della neve ad altre attività redditizie e compatibili con il contesto
MISURE Marmolada, ghiacciaio dimezzato in 25 anni: superficie ridotta a 112 ettari
CAMBIAMENTI Tra vent'anni un mese in meno con neve a duemila metri
PODCAST La montagna ferita. Vita e morte di un ghiacciaio
RECORD Il caldo attanaglia la Marmolada, il 21 agosto toccati i più 14,3 gradi
CLIMA Oltre duecento i ghiacciai scomparsi in un secolo
TRENTO. Se ne rende conto chi frequenta la Regina, lo dicono ormai le commissioni glaciologiche, e adesso arriva anche l'ennesima conferma scientifica: la superficie e il volume del Ghiacciaio della Marmolada continuano a ridursi a ritmo accelerato. Le misurazioni annuali condotte da geografi e glaciologi dell'Università di Padova non lasciano scampo: i dati tratteggiano di anno in anno un quadro sempre più fosco sullo stato di salute del più importante ghiacciaio delle Dolomiti.
Grazie alla Campagna glaciologica partecipata organizzata dal Museo di Geografia dell'Università di Padova in collaborazione con il Comitato glaciologico italiano e Arpav (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto), anche quest'anno una ventina di escursionisti esperti provenienti dal Veneto, l'Emilia-Romagna e la Lombardia hanno potuto seguire da vicino le misurazioni.
«Il ghiacciaio è in una situazione drammatica oltre all'assottigliamento generalizzato delle fronti abbiamo registrato ritiri importanti, che nel punto di maggior regressione sfiorano i 90 metri su base annua, con una media di arretramento negli otto segnali frontali di circa 20 metri in un anno - afferma Mauro Varotto, responsabile delle misurazioni frontali del Ghiacciaio - Questo trend di fusione porterà presto la superficie totale del Ghiacciaio principale, calcolata in 112 ettari dal collega Francesco Ferrarese nel 2022, a scendere, nei prossimi anni, al di sotto del chilometro quadrato: una soglia statisticamente importante, la metà della superficie presente nel 2000 e meno di un quarto rispetto al 1900».
«Quest'estate - aggiunge Mauro Valt, tecnico ricercatore Arpav - i ghiacciai lungo tutto l'arco alpino sono in forte fusione a causa del combinato disposto di deboli nevicate negli ultimi due periodi invernali e delle alte temperature estive. Nella seconda decade di agosto, in particolare, si è registrata in area dolomitica la temperatura media più alta dal 1990, coincidente con una dozzina di giorni in cui le temperature hanno superato il novantesimo percentile: la serie più lunga degli ultimi trentacinque anni».
Non è solo un problema ambientale, ma anche economico, soprattutto per quelle zone delle Alpi dove la pratica dello sci è ormai un'industria.
«Dalle nostre elaborazioni dei dati forniti da Arpav si evidenzia un innalzamento di 220 metri della quota sciabile per ogni grado di aumento della temperatura in quota - commenta Alberto Lanzavecchia, docente di finanza aziendale all'Università di Padova - e si disegna un quadro di insostenibilità dell'industria dello sci, già resa evidente dai bilanci di gestione degli impianti di risalita e dalle necessarie sovvenzioni pubbliche per gli investimenti in impianti a fune e bacini di accumulo dell'acqua. Ciò nonostante, in questi giorni si discute sull'opportunità di investire ulteriori risorse per praticare lo snow farming invece di iniziare ad investire su un'economia diversa e più sostenibile».
«Il valore aggiunto di questa iniziativa giunta ormai alla V edizione - conclude Giovanni Donadelli, curatore del Museo di Geografia Unipd - è quello di avvicinare la cittadinanza alle pratiche di ricerca attraverso un'esperienza culturale a tutto tondo, in cui grazie alla guida di docenti ed esperti è possibile osservare, comprendere e problematizzare situazioni e processi complessi, attraverso un approccio multidisciplinare capace di far entrare in relazione profonda con il territorio. Il coinvolgimento diretto - riprende Donadelli - rappresenta una strategia vincente, capace di appassionare ed emozionare i partecipanti ed efficace nel promuovere conoscenza e consapevolezza dei cambiamenti climatici in atto nel contesto alpino».