Fauna / Il caso

Sterilizzare le orse? Non è impossibile, ma molto difficile e rischioso: lo dice il «padre» di Life Ursus

Andrea Mustoni, cosa serve? «Imparare a distinguere tra informazioni vere e false, e purtroppo di queste ultime ce ne sono in giro tante. E profondo rispetto delle opinioni altrui, liberamente espresse»

GESTIONE Biancofiore, perché non la sterilizzazione delle orse?

di Barbara Goio

TRENTO. «Più volte mi hanno chiamato il “papà” di Life Ursus, ma ad essere più precisi sono entrato a progetto già avviato e sono stato il responsabile tecnico scientifico dal 1998 al 2004, quando il programma è stato ufficialmente chiuso. Andrea Mustoni, grande conoscitore del mondo naturale delle Alpi, zoologo ed esperto presso il Parco Adamello Brenta, si occupa di orsi da trent’anni.

Schieramenti, recriminazioni, abbattimenti e sterilizzazione: tutti dicono tutto e il contrario di tutto, ma come si è deciso di riportare gli orsi in Trentino?

«Si fa tanto parlare adesso di motivi economici, per avere contributi, o turistici, per attrarre visitatori: niente di tutto questo. Le motivazioni che hanno portato alla realizzazione del progetto Life Ursus, che è stato ufficialmente approvato dall’Unione europea nel 1996 ed è diventato operativo due anni dopo, ha radici molto profonde nella storia e nella cultura del nostro territorio. Basti pensare che l’idea di fare qualcosa per contrastare la scomparsa dell’orso bruno sulle Alpi risale al 1919, quando intellettuali, naturalisti, appassionati di montagna come il presidente della Sat Giovanni Pedrotti o l’alpinista Renzo Videsott si resero conto che era necessario creare una zona dove l’orso potesse essere protetto».

E poi cosa è successo?

Il Parco Adamello Brenta è stato istituito nel 1988, grazie ad un lungo e costante impegno di tanti trentini importanti, i pionieri dell'ambientalismo dell’Ordine di San Romedio, personaggi legati alla cultura dell’orso che non ne accettavano il declino: gli ultimi tre esemplari sono morti nel 1997 e quell’anno l’orso trentino è stato dichiarato biologicamente estinto».

Cos’è la cultura dell’orso?

«Sembra strano, ma per tanti trentini era impossibile rinunciare alla presenza dell’orso nelle nostre valli, per motivi ecosistemici ma soprattutto culturali: l’orso appartiene alla storia dell’uomo, è una presenza carismatica, suscita fortissimi sentimenti. Anche le prese di posizioni di questi giorni, così esasperate, testimoniano questa realtà».

Sembra che l’opinione pubblica sia spaccata in due, con entrambi gli schieramenti che si ergono a paladini dell’ambiente: come trovare una via di uscita?

«Imparare a distinguere tra informazioni vere e false, e purtroppo di queste ultime ce ne sono in giro tante. E profondo rispetto delle opinioni altrui, liberamente espresse, per ricondurre la discussione alla riconferma dell’importanza dell’orso come unica soluzione».

La contrapposizione è molto marcata tra chi in Trentino ci vive e chi abita altrove, tra chi è in città e chi sta nelle valli…

«Le opinioni sono diverse non solo sull’orso ma su tanti aspetti della vita in montagna, ma la conservazione della fauna è una disciplina scientifica di sintesi, che tiene conto anche di questi fattori: lo studio di fattibilità di Life Ursus aveva previsto molto di quanto è effettivamente accaduto. L’anno scorso abbiamo avviato un progetto con gli antropologi di Ca’ Foscari a Venezia e con gli zoologi dell’Università di Sassari proprio per approfondire questo campo specifico».

A proposito di fare ricerca, ora si parla di sterilizzare le femmine aggressive e il ministro Pichetto Fratin ha dato mandato a Ispra di verificare la cosa. Cosa ne pensa?

«Giusto non escludere alcuna strada ma, come ribadito da Ispra, dal punto di vista biologico della popolazione, non fa alcuna differenza che una femmina sia sterilizzata, captivata o abbattuta. La sterilizzazione è tecnicamente molto difficile e rischiosa, sia per l’animale che per chi la deve effettuare. È eseguita in natura, nel bosco ovviamente. L’orsa va catturata, sedata, operata sul campo e rilasciata subito dopo, per evitare qualsiasi contatto con l’essere umano. Gli orsi prendono subito confidenza, ed è esattamente quello che si deve evitare. Bisogna considerare la sterilizzazione come un ambito da indagare, ma per certo non si può mettere in campo dall’oggi al domani».

Cosa è rimasto adesso del progetto Life Ursus?

«Il Parco non è più capofila dal 2004, ma resta l’impegno per trovare soluzioni compatibili con la vita di chi vive sul territorio. Lo spirito iniziale del progetto non deve essere tradito: è l’animale che si deve adeguare alla nostra situazione e non viceversa. Il futuro dell’orso dipende dal mettere in campo soluzioni che siano rispettose dell’uomo».

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