Acquaspace, indagati per "traffico di rifiuti" e rinviati a giudizio

Dopo più di tre anni dal sequestro dell’impianto, la vicenda Aquaspace è tornata ieri mattina in tribunale per l’udienza preliminare, slittata nel tempo prima per l’astensione degli avvocati e poi per il Covid. E il gup di Trento ha rinviato a giudizio il direttore dello stabilimento di Rovereto Tiziano Battistini, imputato per il reato di traffico illecito di rifiuti, e la stessa Aquaspace. Il prossimo 18 maggio, questa volta in tribunale a Rovereto, si aprirà dunque il processo per chiarire se in via del Garda si è agito correttamente o meno. Si tratta di un passo fondamentale in un procedimento giudiziario complicato ma al quale è appeso il futuro di due aziende: la stessa Aquaspace e la vicina Tessilquattro. Ecco perché l’udienza preliminare, soprattutto dopo un anno di stop, era attesa con trepidazione. Perché le rassicurazioni del patron Giulio Bonazzi - che ha sempre garantito che nessuna azienda verrà chiusa prima della fine della vicenda - hanno permesso ai lavoratori di dormire più tranquilli ma è evidente a tutti che quello di adesso, con l’impianto Aquaspace che funziona a mezzo servizio, è un equilibrio che non potrà durare in eterno.
Quanto ai fatti, il caso è partito da un’indagine della Dda di Trento sull’impianto di trattamento rifiuti Aquaspace: la parte chimica dell’impianto, che in forza di un’autorizzazione gestiva fino a 162 mila tonnellate l’anno di rifiuti liquidi, di cui 63 mila di rifiuti pericolosi, secondo l’Appa e i pm Davide Ognibene e Alessandra Liverani non lavorava in modo corretto. Lo si è capito nel febbraio 2018, quando Noe e Appa hanno messo i sigilli alla parte chimica dell’impianto di via del Garda, da quel momento ferma. Ora funziona solo la parte biologica, che garantisce la depurazione a Tessilquattro.
In tre anni la tesi della procura non è cambiata, così come non è cambiata quella -diametralmente opposta - dell’azienda. Secondo i pm quell’impianto lavorerebbe in modo scorretto per tre motivi: avrebbe accolto rifiuti che non poteva trattare, avrebbe miscelato rifiuti pericolosi di diversa natura e, soprattutto, non avrebbe davvero trattato i rifiuti inquinanti, li avrebbe solo annacquati. La difesa - rappresentata dagli avvocati Andrea Tomasi e Paola Ficco - contesta in toto la ricostruzione dell’accusa: quell’impianto miscela i rifiuti perché una volta entrati non sarebbero più rifiuti ma materie prime. E l’accostamento di sostanze antagoniste servirebbe per abbattere gli inquinanti che non sarebbero quindi annacquati ma trattati come da autorizzazione.

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