Esplorazioni nella memoria per rallentare l'Alzheimer Anziani, nasce a nomi il «centro della reminiscenza»

Lavorare nella memoria per ostacolare l'avanzare di una malattia Alzheimer e delle varie forme di demenza senile degenerativa.

È l'obiettivo di un progetto elaborato e sperimentato nell'ultimo anno e che dal prossimo mese prenderà concretamente il via.

«Dopo una sperimentazione metodologica - si legge in una nota - applicata nel corso del 2016 presso la Residenza valle dei laghi di Cavedine, nasce a Nomi, all'Opera Romani, un centro dedicato principalmente alla cura non farmacologica dell'Alzheimer e delle varie forme di demenza: il dipartimento della reminiscenza.

A svilupparne il percorso nelle due strutture Apsp di Nomi e Cavedine, un team formato da tre professionisti attivi in ambiti diversi, che hanno ottimizzato la metodologia dei loro Laboratori della memoria incentrandoli sulle esigenze delle persone colpite da Alzheimer o demenze in senso lato».

Tommaso Pasquini, conduttore e sviluppatore del dipartimento insieme a Riccardo Ravagni e a Laura Marcon, spiega così l'iniziativa: «Tutto nasce nel 2015 con “La banca del ricordo” un'idea d' impresa sociale vincitrice dell'edizione del concorso “A new sociale wave”, nata per offrire un servizio di ricostruzione autobiografica della propria esperienza di vita e organizzarla all'interno di un grande archivio digitale della memoria. Presentando il progetto sul territorio abbiamo riscontrato più volte un interesse effettivo verso questa idea.

Incontrando Livio dal Bosco, direttore delle due Apsp di Nomi e Cavedine, l'interesse si è concretizzato nella possibilità effettiva di sperimentare il percorso presso le strutture da lui dirette. I risultati positivi dei nostri laboratori ci hanno incoraggiati a progettare e proporre la costituzione di un vero e proprio centro dedicato all'applicazione e allo sviluppo dei metodi legati alla reminiscenza».

Fare reminiscenza significa rievocare momenti importanti della propria esperienza di vita, condividerla con gli altri e poter riflettere sul proprio passato, cercando di creare e favorire situazioni di incontro e scambio attivo tra i partecipanti.

«I risultati che ci si devono attendere - spiegano i responsabili del progetto trentino - non sono ovviamente legati alla guarigione della malattia ma al rallentamento della sua degenerazione attraverso la stimolazione delle funzioni cognitive. I metodi che vengono applicati all'interno dei laboratori della memoria attingono direttamente alle tecniche di narrazione autobiografica e a quelle di teatro civile  partecipato e documentaristiche. 1/2

Perché un dipartimento? Come ormai conferma la maggior parte degli operatori e degli esperti di settore, stimolare e tenere in costante allenamento le capacità cognitive risulta una pratica positiva nel contenimento delle patologie legate alla demenza e all'Alzheimer in particolare. L'idea di un dipartimento nasce dall'esigenza di continuare ad approfondire e arricchire il metodo legato alla reminiscenza e alla narrazione autobiografica portato avanti con i laboratori.

Attraverso la raccolta sistematica e organizzata dei dati prodotti durante i laboratori, la bibliografia esistente in materia, la produzione di report e una serie di workshop e seminari organizzati ciclicamente con importanti soggetti con cui fare rete, il dipartimento si configurerà come un vero e proprio centro sperimentale sulla reminiscenza, in grado di ottimizzare la propria metodologia laboratorio dopo laboratorio, e di attingere e dialogare con le altre terapie nel campo degli interventi orientati alle emozioni.
 
Un vecchio giocattolo, una lettera, il vestito della domenica. Di norma tutto questo finisce in vecchi bauli polverosi nascosti in soffitta. I laboratori della memoria attivati all'interno del progetto, condotti e sviluppati con la supervisione dei tre autori del progetto, impegnati da anni in progetti di narrazione video-documentaristica, museale e archivistica, riaprono questi contenitori e stimolano le persone a riviverne i contenuti, a prendersene cura, a riordinarli.

Una ricerca che il paziente non compie da solo, ma insieme al caregiver e ai familiari che diventano parte attiva e fondamentale del percorso di ricostruzione e destinatari  effettivi di un percorso parallelo. Alla fine del percorso i pazienti della struttura non avranno “soltanto” ricostruito insieme i capitoli della propria vita attraverso le tecniche di narrazione.

Parlando di situazioni, persone, fatti e luoghi avranno riacceso interessi comuni di dialogo, riscoperto passioni condivise, ritrovato occasioni di discussione per combattere isolamento, solitudine e noia. Infine, con l'aiuto della tecnologia utilizzata nei laboratori, costruiranno materialmente la propria biografia, restituita in forma sia digitale che cartacea.

Questa rappresenta il racconto della propria vita, una sorta di diario, anche multimediale, da consegnare ad amici e familiari o da riguardare e aggiornare costantemente insieme agli ospiti della struttura».

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