La prima volta a 16 anni ma parlare di sesso rimane tabù
È uscito il rapporto del ministero della Salute in occasione della terza Giornata nazionale di informazione e formazione sulla salute riproduttiva
La «prima volta» arriva per i ragazzi italiani in media fra i 16 e i 17 anni. Aumenta l'uso del preservativo ma il tema resta off limits nelle conversazioni familiari.
È quanto emerge dal rapporto del ministero della Salute in occasione della terza Giornata nazionale di informazione e formazione sulla salute riproduttiva, che si celebra oggi. Per quanto riguarda l'utilizzo dei metodi contraccettivi, rispetto a un'indagine fatta dall'ISS nel 2010, rimane stabile la percentuale di chi non usa alcun metodo (10%), mentre aumenta l'utilizzo del preservativo (77%) ma anche quello del coito interrotto (26%) e del calcolo dei giorni fertili (11%). La famiglia però non è ancora il centro di riferimento per i ragazzi che non riescono a confrontarsi su questi argomenti con i genitori con cui difficilmente affrontano argomenti quali «sviluppo sessuale e fisiologia della riproduzione», «infezioni/malattie sessualmente trasmissibili» e «metodi contraccettivi»: solo il 10% parla in famiglia di questi argomenti in maniera approfondita.
Il 94% dei ragazzi ritiene che debba essere la scuola a garantire l'informazione sui temi della sessualità e riproduzione (ben il 60% di loro ritiene che questo dovrebbe iniziare dalla scuola secondaria di primo grado o anche prima, dato che conferma quanto già emerso nell'indagine ISS del 2010); tuttavia solo il 22% degli adolescenti vorrebbe ricevere queste informazioni dai propri docenti, mentre il 62% vorrebbe personale esperto esterno alla scuola.
Solo il 7% degli adolescenti pensa di non avere figli nel suo futuro, mentre quasi l'80% di loro indica come età giusta per diventare genitore prima dei 30 anni. Il primo Studio nazionale sulla fertilità che ha raccolto informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva per orientare e sostenere la programmazione di interventi a sostegno della fertilità in Italia è andato anche a scavare nei comportamenti di universitari e adulti, in sostanza la popolazione potenzialmente fertile, con l'obiettivo di avere anche uno spaccato di quando pensano i professionisti sanitari (pediatri di libera scelta, medici di medicina generale, ginecologi, andrologi, endocrinologi, urologi, ostetriche).
E quest'ultima indagine ha confermato che sono ancora troppo pochi i ragazzi e gli uomini che si sottopongono ad un controllo. Quasi il 75% delle studentesse ha fatto una visita ginecologica, solo 1 ragazzo su 4 è stato dall'andrologo; per quanto riguarda il consultorio familiare si sono rivolte a questo servizio il 34% delle studentesse intervistate, mentre è stato utilizzato solo dal 13% dei maschi. Infine i dati sulla propensione alla procreazione. Le motivazioni per rinunciare o rinviare la nascita di un figlio, escludendo dalla stima le persone senza un partner o che riferiscono problemi di fertilità, sono legate principalmente a fattori economici e lavorativi e all'assenza di sostegno alle famiglie con figli (41%), seguiti da quelli collegati alla vita di coppia (26%) o alla sfera personale (19%); infine ci sono problemi di salute (17%) o legati alla gestione della famiglia (12%).