Dalle iniezioni di disinfettante suggerite da Trump alla nicotina e gli ultravioletti: tante fake sul virus
Iniettarsi prodotti disinfettanti in vena come suggerito dal presidente americano Donald Trump, suscitando l’allarme dei medici, o fare il pieno di surrogati di nicotina? Idea - quest’ultima - che ha costretto la Francia a limitarne la vendita per evitare l’assalto alle farmacie. O magari curarsi con tisane alla salvia, come in Madagascar, se non con l’urina di mucca, come qualcuno ha pensato di fare in India all’inizio dell’epidemia.
Sono ormai una marea le cure improbabili e i miti non verificati che circolano - amplificati a dismisura dal web - in merito al coronavirus. Rimedi non più efficaci dei salassi e delle fumigazioni che i medici medievali utilizzavano per cercare di guarire i malati di peste.
Eppure, nonostante i progressi della medicina, la tentazione di ricorrere a soluzioni che sfociano nella superstizione sembra ineliminabile. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha dovuto pubblicare un lungo elenco di credenze errate sul coronavirus, smentendole una per una. Si va dalle reti 5G che diffonderebbero il virus - una teoria del complotto che ha portato in Europa a numerosi episodi di vandalismo nei confronti di antenne e infrastrutture - fino al bere alcol che proteggerebbe dal contagio. Mentre è esattamente l’opposto, sottolineano i medici, dato che un’assunzione eccessiva abbassa le difese immunitarie.
C’è poi chi si è dato al consumo di aglio, con l’unico effetto sicuro di migliorare il proprio distanziamento sociale.
E chi è convinto di potersi «disinfettare» esponendosi ai raggi ultravioletti dei lettini solari. Nemmeno fare un bagno caldo protegge dal virus, e se l’Oms si è sentita in dovere di specificarlo significa che c’è chi ne è convinto. Così come riuscire a trattenere il respiro per dieci secondi senza tossire non vuol dire automaticamente che non si è stati contagiati dal Covid-19.