Salutiamoci bene: abbracciare con lo sguardo
Una nuova forma di saluto, un nuovo “rito” da condividere per contrastare la diffusione del Coronavirus e riscoprire al tempo stesso i valori più profondi del nostro essere umani. Per i più piccoli ma non solo è importante un gesto: Salutiamoci bene, come il progetto di comunicazione relazionale, post lockdown, basato sui principi delle neuroscienze, a tutela della salute dell'individuo ma anche della sua naturale propensione alla socialità. Promosso da alcuni studenti della Luiss Guido Carli coinvolge allievi provenienti da altri 6 atenei italiani (Università La Sapienza di Roma, Accademia delle Belle Arti di Bologna, Accademia delle Belle Arti Macerata, Accademia delle Belle Arti di Roma, Conservatorio di Musica “Luigi Canepa” di Sassari, Università degli Studi Roma Tre), coordinati dall'avvocato Angelo Monoriti e da Maria Rita Parsi, psicopedagogista e piscoterapeuta, presidente della Fondazione Movimento Bambino ONLUS.
“Dopo la quarantena le regole del distanziamento fisico diventano ora per ogni cittadino una necessità urgente - spiega Monoriti - da applicare in maniera corretta per evitare di mettere a rischio la propria salute e quella degli altri. Per adottare correttamente il principio del “distanziamento fisico”, non bastano però i decreti. Occorre condurre i cittadini a motivarsi da soli. Nella Fase 2 è l'individuo a dover mettere in pratica, nel suo quotidiano, le giuste regole per riuscire a contrastare realmente, attraverso la prevenzione, il propagarsi della pandemia. Insomma, se il virus gioca con la nostra umanità dobbiamo essere abili nel cambiare gioco. “Salutiamoci bene” nasce proprio per identificare quei gesti-barriera che possano, però, funzionare anche come attivatori mentali in grado di ricordare costantemente ai cittadini di mantenere il distanziamento fisico, senza annullare le regole della socialità”. L'idea, presa in prestito dalla parabola nota come “il dilemma del porcospino”, elaborata nel 1851 da Arthur Schopenhauer punta sul calore umano mediato dalle necessità di evitare il contatto fisico. Gli scienziati confermano, peraltro, che una Fase 2 affidata a una mera campagna di tamponi, test sierologici e app su vasta scala mancherebbe completamente l’obiettivo di contrastare e ridurre al minimo la circolazione del virus. La riuscita della Fase 2 dipenderà, dunque, a livello individuale e collettivo, da una serie di misure psicologiche preventive monitorate passo passo nelle loro conseguenze: gesti barriera, distanze e contatti gestiti con consapevolezza dai singoli cittadini”.
Quello che viene proposto insomma è una nuova forma di saluto, un nuovo rito da condividere che, non potendo utilizzare il contatto fisico, si affida allo sguardo e alla gestualità, un gesto barriera che “non è un semplice saluto, ma uno sguardo. Nella mano ci sono i nostri nuovi occhi. Con un gesto possiamo dire: ti vedo, ti sento, ci sono. È l’avvio di una connessione interiore. Si tratta un gesto che richiede una frazione di tempo in più, tempo dedicato a riconoscere l’altro. Si colloca quindi anche nel solco di quella necessità di cambiamento, che deve partire dalle relazioni umane e non dai processi, che dovrà portare ad irrorare la società con azioni che promuovano lo spostamento (anche di poco è sempre essenziale) dalla logica dell’individualismo e del profitto a quella dall'etica del bene comune". Perché posare lo sguardo sull’altro e guardarlo negli occhi è la prima forma di riconoscimento, la prima forma di calore, la prima forma di umanità.