Gerardo Dalbon, l'uomo che va al ristorante e si porta la sua pasta da farsi cucinare
Te lo immagini uno che, nel 2020, compera una pagina intera sul Corriere della Sera per esprimere gratitudine all'azienda con cui ha lavorato e lavora? Una pagina, neh? Fuori dal tempo in un'epoca in cui il senso d'appartenenza è andato alle ortiche. «Che bello essere fuori dal tempo», esclama con l'ironia che lo ha contraddistinto per una vita Gerardo Dalbon.
A fare colpo è stata quella pagina pubblicitaria sul Corrierone (pagata da lui) per ringraziare... No, ringraziare è la parola sbagliata: pare una ruffianata. E ruffianata non è. Aggiustiamo: per omaggiare la pasta De Cecco. Chi non la conosce? Nello stabilimento abruzzese Gerardo lavora da 26 anni, e ora, che è arrivato alla soglia dei settant'anni (portati da gran signore, bisogna sottolinearlo, e pure un po' da seduttore, sia detto senza malizia, anzi, tutt'al più con un pizzico di invidia), diciamo che è sul rettilineo d'arrivo. Allora si è sentito in dovere di esprimere la sua gratitudine. Come? Raccontando che quando va al ristorante si porta il pacchetto di pasta (De Cecco, ovviamente) che lui ama. Se lo chef non ha De Cecco, Gerardo cambia ristorante, anche fosse a Napoli, dove di pasta se ne intendono assai.
Ma chi è costui? Si divide fra Darè (villaggio della bassa Rendena, oggi finito nel comune di Porte di Rendena) e l'Abruzzo. Laggiù (lo abbiamo capito) lavora: è direttore tecnologico di uno dei pastifici più noti e pubblicizzati del Paese della pasta. E quassù? Nascosto sopra il paese, in una casa fra il prato e il bosco. Qui Gerardo ti confessa: «Respiro il silenzio che mi piace tanto». Ma gli piace anche la compagnia.
«Posso venire a trovarti?». A domanda risponde con domanda: «In quanti siete?». «Sono da solo». «Ah, beh, tieni presente che fino a dodici posti a tavola arrivo». Questo il dialogo fra noi. Ogni anno organizza tavolate con ex compagni di scuola, fra cui docenti universitari e simili. Tutta gente che apprezza il "bon vivre". Perché fra l'altro nella sua arte della seduzione si inserisce il piacere di prendere per la gola, un po' per il gusto di stare ai fornelli, ma soprattutto per godere poi a tavola insieme agli amici.
«La assaggi la Biòta'?». «La che?». «La biòta. Ricetta nostra, con le patate». E? «Eh no, segreto!», sibila. Saporita!
Respiri il silenzio, si diceva, nel "buen retiro" di Gerardo: Gerry per gli amici. La casa e la vigna. «Resistente», precisa subito, per spiegare che è di quelle vigne che non hanno bisogno di nessun trattamento: vere biologiche. Solaris, appena frizzante, equilibrato, con il tocco giusto di salinità. «Va giù che è un piacere», esclamiamo. E' contento Gerry: «E' il migliore. Non ce n'è altri così», sorride, mentre scodella il pollo. Perché quando vai a mangiare da lui non esci con il vuoto allo stomaco.
Torniamo al pastificio tanto adorato? «No, ho già detto abbastanza», si schermisce. Già. Poi fare il tecnologo è complicato da spiegare: significa parlare di macchine da mettere in efficienza. E Gerardo vive un paradosso: la chiamiamo schizofrenia? No, dài! Da una parte si occupa di macchine, dall'altra di piatti e di vigne, e questo lo abbiamo detto. Ciò che non abbiamo detto è che gli piace il bel canto: per una decina d'anni è stato componente del coro della Sat. Mica il coro parrocchiale (con tutto il rispetto!). Poi la vita lo ha convinto (stavamo per scrivere costretto, ma Gerry è uno che non si fa costringere facilmente), convinto a scelte diverse: su e giù dall'Abruzzo...
E adesso che andrà in pensione? Si vede rinchiuso nella valle? «Intanto chi ha detto che vado in pensione? Nemmeno per sogno! E poi, la sola idea di stare qua, a tagliare la legna e a curare la vigna...». Abbiamo capito: Gerry non ha la cultura del Cincinnato.