Il grido di una mamma trentina: «Mio figlio sedicenne è depresso e io mi sento lasciata sola»
«Come lui ci sono tanti ragazzi. Mi dicono che ci sono situazioni più gravi della sua, ma io temo che le cose possano peggiorare ulteriormente. Non ha amici, non vuole uscire di casa ed è difficile aiutarlo. A giugno ho chiesto una visita neuropsichiatrica e mi hanno dato appuntamento a novembre. E intanto?»
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TRENTO. «Ho un figlio di 16 anni che da mesi soffre di depressione. Non vuole uscire di casa, si è chiuso in sé stesso. Sta male. Sta andando da uno psicologo privato e ad inizio estate ho chiesto un consulto dal neuropsichiatra infantile. Da giugno - quando ho telefonato - mi hanno dato appuntamento a novembre. Se mio figlio si fosse rotto una gamba un ortopedico lo avrebbe visitato subito. Invece per la depressione sembra sempre che ci sia qualcuno di più grave e che si possa aspettare».
Questa mamma ad aspettare, però, non ce la fa più. Si sente sola a combattere contro i mulini a vento. Contro un malessere del figlio contro il quale non sa cosa fare. «Ora inizia la scuola e so già che sarà un problema. Ogni mattina ci vuole un'ora per alzarlo dal letto. Già lo scorso anno a volte riuscivo a farlo andare e a volte no. Ma quest'estate la situazione è ulteriormente peggiorata e io non so cosa fare. Vorrei aiutarlo, ma non so come».
Che dopo il Covid i problemi psicologici e psichici degli adolescenti siano aumentati si dice da mesi. Ma non sempre le risposte che le famiglie ottengono sono adeguate. «Io mi sento sola. Sta male lui, ma sta male anche tutta la famiglia. Questa cosa coinvolge me, la sorella, i nonni. A volte l'idea di tornare a casa mi angoscia perché lui è lì, chiuso nella sua camera, che non vuole fare nulla. Quanto gli parlo a vole si chiude ancora di più, altre volte diventa aggressivo». Difficile capire come muoversi. Questa mamma ci ha provato in ogni modo a trovare un canale di comunicazione.
«Anche quando abbiamo l'appuntamento con lo psicologo non è scontato che ci vada. Avevo anche contattato un educatore perché gradualmente lo aiutasse a tornare ad uscire, ma quando è arrivato in casa lui si è chiuso in camera. Al Serd, dove mi sono rivolta per la sua dipendenza dal cellulare, mi hanno detto che se non ha 18 anni non lo prendono in carico. E intanto cosa facciamo? Lo lasciamo stare sempre più male chiuso nella sua camera».
Si fa mille domande questa mamma. Si chiede il perché di tanta sofferenza, ma nello stesso tempo vorrebbe muovere qualcosa. «Se la visita neuropsichiatrica fosse stata fatta a giugno forse a quest'ora le cose andrebbero meglio e lui avrebbe potuto iniziare la scuola in un altro modo. E invece niente. Siamo in attesa e la prossima settimana io non so se riuscirò a convincerlo a frequentare».Tutto è iniziato con il Covid. Quando è terminato e si è potuti tornare a frequentare persone, il ragazzo era in terza media.
«Già in quel periodo si era chiuso in sé stesso ma speravo che con l'inizio delle superiori le cose sarebbero andate meglio. E invece no. Non ci sono più amici, non frequenta più nessuno. Non vuole più nemmeno andare a calcio, che era l'unico stimolo che lo portava fuori casa. Fino a che era piccolo era tutto più facile. Ora non è che posso caricarlo in macchina a forza. Credo che come me ci siano tante altre mamme che sono alle prese con ragazzi che stanno male. Bisogna che questi casi vengano presi in carico in maniera più rapida e in maniera complessiva. A 360 gradi. Le famiglie hanno bisogno di risposte, di aiuto. Nessuno può capire come si vive con un ragazzino depresso. Non si può lasciarlo a casa da solo, non si riesce a coinvolgerlo in niente, vorresti alleviare le sue sofferenze e non riesci. Un senso di impotenza che uccide».