Protesta Coldiretti al Brennero, gli ecologisti: «Senza la carne estera non ci sarebbe lo speck dell'Alto Adige»
Federazione ambientalista all’attacco: «Basta ipocrisie. In provincia di Bolzano in un anno si macellano 6 mila maiali, ma se ne importano due milioni già macellati e sezionati per fare il salume. E non parliamo poi del latte»
IL CASO Coldiretti contro il cibo straniero spacciato per italiano
IN MARCIA Protesta contro il falso "made in Italy": 4mila al Brennero
IL NODO Coldiretti: "Stop al cibo straniero spacciato per italiano"
BOLZANO. La clamorosa protesta dei contadini di Coldiretti al Brennero contro il «falso made in Italy» ha portato alla luce situazioni aberranti, come la ricotta polacca venduta in Lazio come locale, o i Tir carichi di olio di oliva che poi ritorna sul mercato come italiano. Ma i controlli hanno anche intercettato centinaia di camion che – del tutto legalmente – importano in Italia materie prime (prima di tutto carne, latte e tuorlo d’uovo) destinate a diventare prodotti dop o Igp. Come lo speck dell’Alto Adige.
«Se le richieste di Coldiretti fossero accolte e attuate, l'Alto Adige sarebbe più povero di speck marchio Alto Adige, ma più ricco di onestà e trasparenza» afferma oggi il presidente della Federazione ambientalisti altoatesini (Dachverband für Natur und Umweltschutz), Josef Oberhofer.
Oberhofer cita il presidente della Coldiretti che, con la manifestazione al Brennero, chiede «più trasparenza: basta con la pasta "Made in Italy” se il grano viene dall'estero, basta con il prosciutto di Parma se la carne non è quella della regione». E quindi? «Applicato all'Alto Adige, significherebbe niente più speck altoatesino se la carne viene dall'estero o niente più latticini altoatesini se la panna e il latte sono importati», osserva il presidente della Federazione ambientalisti ricordando che «nel 2019, in Alto Adige, sono stati macellati appena 6.740 suini, mentre sono stati importati oltre 2.000.000 suini già macellati e sezionati. Questi sono noti per essere la base dello speck marchio “Speck Alto Adige”».
Anche «le cooperative lattiero-casearie altoatesine, che operano con successo sul mercato italiano e internazionale, si trovano in una situazione simile», sottolinea una nota. «Yogurt, mozzarella e mascarpone sono prodotti solo in parte a base di latte locale, più di un terzo del latte lavorato nelle cooperative altoatesine deriva da altrove e trasportato tramite autocisterne su strada», afferma Hanspeter Staffler, direttore della Federazione.
La Federazione ambientalisti Alto Adige chiede «maggiore trasparenza e onestà nella produzione alimentare; i prodotti alimentari etichettati quali "Made in Alto Adige”, dovrebbero contenere anche prodotti agricoli altoatesini. In questo modo centinaia di migliaia di mezzene suine danesi, belghe o tedesche non dovrebbero attraversare il Brennero a mezzo di migliaia di Tir per essere trasformate in speck altoatesino».
Nel 2018 in Alto Adige sono stati allevati 8.557 suini, nel 2020 erano meno di 7 mila: «Se ogni suino è dotato di due cosce, da tutti quelli allevati in Alto Adige si sarebbero potute produrre 17.114 baffe di speck all’anno. Come è possibile che nello stesso periodo in Sudtirolo siano state prodotte 7.699.000 baffe di speck vendute con il marchio Alto Adige e di queste 2.755.541 con il marchio di qualità Speck Alto Adige Igp?» si chiedeva il Wwf di Bolzano.
In realtà, secondo il Wwf Bolzano, «solo lo 0,2% delle carni utilizzate nella produzione dello speck Alto Adige è di provenienza regionale, mentre il 99,8% della materia prima arriva dall’estero. Ogni anno circa 3,8 milioni di maiali vengono allevati in vere e proprie fabbriche, dei capannoni chiusi, noti come allevamenti intensivi. E' da lì che provengono gran parte delle carni destinate alla produzione dello speck altoatesino, e non dai masi e dalle valli alpine che vediamo nelle immagini pubblicitarie. Le carni giungono in Alto Adige da Germania (70%), Olanda (20%), Austria (2,5%), Italia (7%), Belgio (0,5%), dove si allevano maiali a bassissimo costo, in allevamenti "ad alta efficienza” e dove i suini vengono alimentati con mangimi a base di soia e cereali per ingrassarli velocemente».
Ovviamente non è l’unica situazione: anche il Trentino si è messo a produrre speck in grandi quantità, ed anche qui i grandi produttori acquistano prevalentemente pezzi di maiale già lavorati, principalmente dall’Olanda, perché in Trentino non si allevano abbastanza suini. Fra il 2010 ed il 2020 le aziende che si occupano di suini sono passate da 409 a 116 e gli esemplari da 6.352 a 5.416. Ma per l’anno 2021, il numero di capi suini è fissato dall’Ispat (Annuario statistico provinciale) in 6 mila capi, in lieve ripresa numerica.
Per non parlare della bresaola della Valtellina, prodotta con carne di gnu negli allevamenti del Sudamerica.