L'uomo che cerca e salva le frutte di una volta, a rischio estinzione: i segreti di Mattia Omezzolli
Le susine di Dro (che non esistono più), le albicocche che sanno di albicocca, le mele di varietà scomparse, il melograno… altro che quella roba che trovi nelle vaschette di plastica
LEDRO. «Una volta c'era la mela per preparare lo strudel, era la Bella di Boskoop. Per le pere caramellate invece la varietà giusta era il Martin secco. Ogni ricetta aveva il suo frutto perfetto».
Mattia Omezzolli questo lo sa bene e ha insegnato questi segreti della tradizione anche a chef stellati, volti noti in tivù. Omezzolli conserva nel suo omonimo vivaio, proteggendole dall'estinzione, più di mille varietà antiche di alberi da frutto; 400 in catalogo. Ogni pianta è diversa dall'altra, un tesoro di agrobiodiversità.
Solo per farci un idea: più di 150 varietà di mele, oltre 100 di pere, 70 di pesche, 40 di melograni, 50 di albicocche, 30 di ciliege, 40 tra susini e prugne, 100 di fichi, viti, ulivi e poi frutti insoliti come asimina, goji, aronia, biricoccolo, nashi, feijoa, albero dell'uva passa e un centinaio di fruttiferi minori dimenticati tra i quali kako, nespolo, azzeruolo, cornioli, gelso, giuggiolo.
Oggi molta di questa ricchezza non la si conosce o la si è persa: la standardizzazione in agricoltura e le monoculture hanno impoverito le campagne del pianeta e anche quelle dell'Alto Garda. È ricercato. Lo chiamano dappertutto per salvare specie rare, talora uniche: a Tignale per un melograno che si racconta abbia 400 anni e che probabilmente ha sfidato la piccola glaciazione del 1700; o in val d'Ultimo per una mela che nasconde all'interno una polpa rossa o in val di Ledro per la Prugna porata della Boemia...
Mattia va, ascolta, recupera, salva varietà rare e la loro storia in Trentino, in Italia e anche all'estero. Le conserva, le cura e le tiene sotto osservazione e le moltiplica con il sistema degli innesti. La biodiversità, la sua ricchezza e la coltivazione naturale sono i perni attorno a cui ruota la sua vita lavorativa.
Val di Ledro, il centro di Plò. In val di Ledro, assieme alla Rete delle riserve, sta facendo il censimento della biodiversità, realizzando, all'ex vivaio forestale del Plò in val Concei, un giardino botanico con ogni tipo di frutta locale, re-innestata e riscoperta col suo bagaglio culturale ed etnografico «per creare «un posto di memoria e continuità».
Mattia Omezzolli, 44 anni, dopo l'istituto di San Michele si è laureato in scienze naturali; continua il lavoro di ricerca e recupero di antiche varietà di fruttiferi avviato quarant'anni fa da zio Francesco all'interno del vivaio Omezzolli di Sant'Alessandro (producono piante ornamentali e da frutto con metodo biologico); con Francesco prima e poi con Mattia si è creato questo immenso patrimonio naturale di piante da frutto.
Biodiversità invece di monoculture. In tempi di monoculture, nei quali le campagne e i contadini si sono piegati al mercato, Mattia col suo lavoro vuole conservare «una cultura millenaria; il sapore, la salubrità, i valori nutrizionali, le caratteristiche di resistenza di tutte queste specie; ogni varietà è una ricchezza ed è anche una garanzia per le sfide a cui andremo incontro perché non sappiamo cosa ci riserverà il futuro».
La susina di Dro e le albicocche. Chi ha più di 50 anni si ricorda le susine di Dro e Ceniga, ora quasi scomparse; hanno lasciato il posto a vigneti monovarietali. «Per i supermercati - racconta Mattia - l'industria agroalimentare ha selezionato albicocche che resistono due settimane nelle vaschette, belle ma senza gusto. Noi abbiamo conservato quelle deliziose come l'albicocca della val Venosta che va mangiata nel giro di una giornata. L'agricoltura industriale sta eliminando un patrimonio di biodiversità creato in diecimila anni di storia della coltivazione, che ha selezionato migliaia di varietà; oggi invece con quattro cultivar l'industria ci sfama. La perdita di agrobiodiversità sta procedendo a ritmi vertiginosi e solo noi possiamo rimediare. C'è però motivo di speranza: c'è sempre una maggiore attenzione alle varietà antiche; anche per la loro quantità nutrizionali, ad esempio: vitamine e antiossidanti...»
Dietro c’è una storia. Il vivaio è stato fondato da Antonio Omezzolli nel 1957; si trova a San'Alessandro di Riva del Garda. Negli anni'70 con la moglie Angelina Zanoni e l'aiuto dei figli Benedetto, Francesco e Alberto (gli altri sono Giustina, Carla e Guido) l'azienda si amplia e si sviluppa adattandosi alle nuove avanguardie di produzione frutticola e ornamentale. Ora coinvolge, oltre ai 3 figli e ai nipoti di Antonio, anche 8 dipendenti fissi; la superficie coltivata è di 6, 5 ettari di vivaio biologico e serre di moltiplicazione. L
a natura provvede, Negli ettari del vivaio dedicati alla biodiversità ci sono filari di piante, dove ognuna è diversa dall'altra; fila di meli di differenti varietà sono inframezzate da carciofi, da coste, da erbe aromatiche, sedano…
«Ogni pianta ha rapporti con funghi, micorrize, con la microbiologia del terreno - spiega Mattia - è questo che rende la terra forte e strutturata; in natura tutto si aiuta reciprocamente, anche contro i parassiti».
La filosofia? «Abbiamo preso una strada opposta alla standardizzazione dei prodotti proposti oggi dalla grande distribuzione per permettere ai nostri clienti la riscoperta dei diversi sapori, profumi, colori, forme e proprietà che caratterizzano le molteplici varietà di fruttiferi dei quali la natura ci ha fatto dono».
Agricoltura rigenerativa. «Bisogna avere una visione complessiva, olistica - puntualizza Omezzolli - è sbagliato non pensare che l'agricoltura non vada a ricadere su tutte le sfere che ci circondano: paesaggio, economia, benessere sociale, sull'ambiente. L'agricoltura di base è un sistema naturale, gestito dall'uomo ma resta sempre fondato sulla natura. L'agricoltura deve diventare rigenerativa: la biodiversità può aiutare a rigenerare il pianeta, aumentarne la bellezza. In altre parole vuol dire lasciare sempre alla natura un ruolo di guida; per esempio, se in un pascolo torniamo a piantare alberi da frutto, come si faceva una volta, e lasciamo siepi campestri piene di vita ed erbe selvatiche, dove ci passano gli animali e gli uccelli, si ottiene una ricchezza di vita incredibile».
Desertificazione delle campagne. «L'agricoltura di sintesi invece sta desertificando i terreni; sta togliendo loro la fertilità, non lavora con la consapevolezza di avere un substrato dove c'è vita, lombrichi, microganismi... In un campo di un ettaro ci vive dentro una biomassa immensa. E questo finora non è stato tenuto in considerazione: pensavamo che bastasse buttarci un po' di concime chimico e che così tutto fosse risolto».
Da Fukuoka a Omezzolli. Le piante madri dei frutti degli Omezzolli non sono concimate o quasi: «Invece di decine di trattamenti, per le giovani piante da vivaio, ne facciamo pochi e bio, solo se serve; i campi non sono diserbati, gli strati di terreno vengono rispettati, non vengono dati concimi di sintesi. Più sconvolgi un ecosistema più devi dare input. Se lasci che la natura faccia il suo corso - spiega Mattia - gli input da metterci sono pochi. Un esempio è l'agricoltura del "non fare" di Masanobu Fukuoka: non devi chiederti "cosa fare" ma "cosa posso non fare", perché la natura fa da sola. Ormai in un prossimo futuro anche i grandi produttori si metteranno a fare agricoltura rigenerativa, anche perché lo richiederanno i consumatori».