Mister Melone sicuro «Avrei salvato il Trento»
Signori si scende. Anche l'ultima folle corsa è finita. Con un gran mal di testa perché seguire il Trento Calcio negli ultimi anni è stato un po' come salire sulle montagne russe, sei stagioni di delirio calcistico, segnate da quattro retrocessioni, un ripescaggio, due promozioni, sofferte e contrastate oltremisura. Impennate improvvise e repentine cadute, tra progetti mai decollati, cordate di ogni genere, proclami avventati, centinaia di giocatori, decine e decine di dirigenti. E soprattutto un senso di precarietà lacerante che ha travolto tutti anche chi si era speso in prima persona e tanto per questi colori. Come Marco Melone, protagonista delle due vittoriose cavalcate in campionato
Signori si scende. Anche l'ultima folle corsa è finita. Con un gran mal di testa perché seguire il Trento Calcio negli ultimi anni è stato un po' come salire sulle montagne russe, sei stagioni di delirio calcistico, segnate da quattro retrocessioni, un ripescaggio, due promozioni, sofferte e contrastate oltremisura. Impennate improvvise e repentine cadute, tra progetti mai decollati, cordate di ogni genere, proclami avventati, centinaia di giocatori, decine e decine di dirigenti. E soprattutto un senso di precarietà lacerante che ha travolto tutti anche chi si era speso in prima persona e tanto per questi colori. Come Marco Melone, protagonista delle due vittoriose cavalcate in campionato.
Il Trento torna mestamente in Eccellenza, e in fondo all'animo cosa rimane?
«Tanta amarezza, inutile negarlo. Lo dico con sincerità, ho sperato sino all'ultimo nella salvezza, l'Eccellenza non è la categoria del Trento. Dispiace enormemente vederlo retrocedere solo un anno dopo averlo riportato in D».
Gli errori di valutazioni commessi in estate hanno avuto un peso determinante su questa stagione. Cosa si rimprovera Marco Melone?
«D'aver peccato di personalismo. Avevo troppa voglia di giocare la serie D, che mi era stata ingiustamente tolta due anni prima. Così ho accettato che nessuna delle mie richieste iniziali fosse presa in considerazione. A quel punto avrei dovuto dire a tutti "Arrivederci e grazie". Ma non l'ho fatto. Ho puntato i piedi una sola volta, a Seregno quando ho messo in campo la formazione che ritenevo più giusta e non quella che avrebbero voluto i dirigenti. E per questo mi hanno cacciato».
Un punto in sei partite, è stata una partenza ad handicap.
«L'inizio di campionato andava valutato diversamente, fatta eccezione per Mapello, ce la siamo giocata alla pari con tutte. La squadra stava crescendo e con gli innesti di dicembre avrebbe potuto dire la sua. Certo un paio di giovani di qualità in più avrebbero fatto comodo, considerata anche l'assenza di Wang».
La delusione più grande?
«Due cose mi hanno fatto veramente male: che il mio staff, Pittalis a parte, sia rimasto al suo posto dopo tutto quello che avevo fatto nella passata stagione, compresi i sacrifici economici, e vedere colleghi a bordo campo criticare chi in realtà stava lavorando con il massimo dell'impegno».
Cosa è mancato davvero a questo Trento ?
«L'entusiasmo di quei quattro o cinque giocatori, penso a Pancheri, Lucena, Marzocchella, che erano l'anima della squadra di Eccellenza. Gente che avrebbe potuto compattare lo spogliatoio e il gruppo. Molti dei nuovi erano reduci da stagioni difficili e avevano bisogno di ritrovare pian piano fiducia e convinzione».
Belfanti, Moser e adesso Bizzozero, troppi uomini al timone.
«Belfanti e Moser non sono uomini di calcio e si sono trovati a disagio in questo ambiente. Belfanti non ha mai avuto troppa fiducia nelle persone che gli stavano intorno e il Trento è diventato in pratica un suo giocattolo. Le cose non funzionano quando qualcuno vuole ricoprire tutti i ruoli, serve il rispetto delle parti. Moser doveva essere il collante con il territorio, ma non aveva le competenze e il peso per farlo. Di Bizzozero non posso dire nulla perché non lo conosco».
Petrollini forse è stato scaricato troppo in fretta.
«Gianni ha un carattere particolare ma è un dirigente assolutamente capace e competente. E soprattutto è un uomo di parola, che ha sempre difeso il gruppo mettendoci anima, corpo e passione. Sicuramente è mancato tantissimo alla squadra».
Diciamolo pure il Trento Calcio sembra accompagnato da un'autentica maledizione.
«Trento promette visibilità, nel bene e nel male. E questo attira tanti personaggi che hanno solo voglia di apparire e che non sono in grado di fare il bene della società. Chi prende il Trento dovrebbe innanzitutto avere un progetto serio e credibile. E poi serve tempo per costruire qualcosa, l'improvvisazione non paga. Capisco anche gli imprenditori locali, con tutto quello che è successo negli ultimi anni è dura avvicinarsi al Calcio Trento».
E' tornata d'attualità l'ipotesi fusione.
«Sono sempre stato contrario. Trento è una città di 120mila abitanti con una storia e una tradizione importanti alle spalle, con tifosi ammirevoli per come seguono ancora la squadra. Parlare di fusione suona quasi come un insulto per questa società».
Trento e Mezzocorona si sono date una struttura professionistica e sono retrocesse, la Fersina allenandosi di sera con calciatori-lavoratori si è salvata.
«Non significa nulla. Per un anno, ce lo insegna il S. Giorgio, l'entusiasmo, la voglia, l'attaccamento, possono fare la differenza. Alla lunga in questa categoria serve un struttura professionistica».
Si parla di Melone alla guida del Levico nella prossima stagione.
«Storie. Io non ho ancora parlato con nessuno».
Ma si immagina ancora sulla panchina del Trento?
«No. Non mi piacciono le minestre riscaldate troppe volte. Ho avuto la fortuna di allenare la squadra per la quale ho sempre fatto il tifo e sono stato ripagato da due grandissime soddisfazioni. Il mio bilancio resta positivo ma non penso proprio che tornerò ad allenare questa squadra».