Thuram, la lezione di vita a Comano
«I neri non esistono. E chi dice che i neri esistono, e magari è bianco, sa benissimo che i bianchi non esistono, perché ogni bianco è differente per carattere e modi di fare. E allora, perché i neri dovrebbero essere tutti uguali? E così anche i musulmani non esistono, e nemmeno gli omosessuali. Io quando ero in Guadalupa ero solamente Lilian, ma non ero nero. Sono diventato nero a Parigi, quando i miei compagni di scuola mi prendevano in giro perché assomigliavo a quella mucca nera dei cartoni animati che guarda caso era stupida, mentre la mucca bianca era intelligente...».
[[{"type":"media","view_mode":"media_large","fid":"506506","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"425","style":"float: right;","width":"480"}}]]Lilian Thuram con addosso le scarpe da calcio ha vinto una Coppa del Mondo, un Europeo, diversi scudetti (due o quattro a seconda delle opinioni) e tanti altri titoli, ma ora parla di pallone raramente, per lo più con i figli ai quali ricorda sempre che il divertimento e il rispetto vengono prima di tutto. Sette anni dopo aver smesso con il calcio giocato, l'ex Monaco, Parma, Juventus e Barcellona gira il mondo con una Fondazione che porta il suo nome per insegnare, soprattutto ai bambini, l'uguaglianza. «Per l'uguaglianza», appunto, è il titolo del suo ultimo libro (la prima fatica letteraria era stata «Le mie stelle nere»), opera che Thuram ha presentato lunedì sera alle Terme di Comano nell'ambito della rassegna «Trentino d'Autore».
Sia al microfono davanti a un pubblico variegato, sia seduto nel giardino del Grand Hotel mangiando due fette di crudo e quattro dadini di Trentingrana, Lilian dimostra una spiccata simpatia e una sincera umiltà. Pretende che gli sia dato del tu, e noi ne approfittiamo per andare subito al dunque chiedendogli se nel calcio il razzismo è diffuso. «No». Ribatte, per poi fissarci sapendo di trovarsi difronte la faccia stupita di chi forse si sarebbe aspettato tutt'altra risposta. «Chi dice che nel calcio c'è razzismo vuole nascondere il problema. Il razzismo c'è nella vita di tutti i giorni, e il calcio fa parte della vita di tutti i giorni. Quindi chi dà la colpa al calcio lo fa spesso per non affrontare la questione nel mondo comune».
Poi racconta di quella volta che dopo un Parma-Milan, durante il quale i tifosi ducali avevano sbeffeggiato Weah e Ba, parlò con i giornalisti dei cori poco rispettosi. «In tanti mi consigliarono di lasciar perdere, ma dopo aver sentito certe prese in giro ero incazzato... nero e il giorno dopo la partita ho parlato con la stampa dicendo che era successo qualcosa di grave. Pensate che la domenica dopo, a Udine, vidi uno striscione per me da parte dei tifosi del Parma, i miei tifosi. Me lo ricordo perché in tanti anni di carriera fu probabilmente l'unico. Cosa c'era scritto? "Thuram devi rispettare i tifosi". Vi rendete conto?».
[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"506501","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"381","width":"512"}}]]
Di passi comunque ne sono stati fatti tanti, riconosce Lilian. «Mia nonna è nata appena 60 anni dopo la fine della schiavitù, io sono nato quando in Sudafrica c'era l'apartheid, ma non dobbiamo fermarci, perché le discriminazioni sono ancora tante. Tanto per fare un esempio, basterebbe citare gli omosessuali, per i quali da voi c'è ancora una legge di stato che li discrimina, così come una volta succedeva per le donne o per i neri. Bisogna fare attenzione all'educazione». «Educazione», la parola che Lilian ripete più di ogni altra. Thuram, quando ancora era un roccioso difensore, aveva ingaggiato duelli a distanza con politici del calibro dell'ultranazionalista Le Pen e dell'ex premier Sarkozy. Eppure quella Francia che nel 1998 e nel 2000 si issò in cima al Mondo e all'Europa (facendoci piangere un paio di volte) era trascinata dal biondissimo Petit, dal franco-algerino Zidane, dal basco Lizarazu, dal franco armeno Djorkaeff, da Thuram...
«I tempi erano maturi per fare altri decisi passi avanti contro il razzismo, e quella squadra contribuì, ma qualcuno si ostinava a definire quella nazionale "multietnica", probabilmente perché dire "multicolore" avrebbe fatto troppo scalpore, anche se quella era la vera intenzione. Ma quale "multietnica"? Eravamo la Francia, punto. Qualcuno voleva intendere che chi non ha genitori francesi non può considerarsi francese, seppur nato a Parigi. Questi sono ragionamenti pericolosi! Sbaglio o anche da voi se qualcuno nasce in Italia può essere cittadino italiano solamente se i suoi genitori sono italiani? In pratica state dicendo che la nazionalità è una cosa che passa attraverso il sangue, attenzione perché questi concetti sono davvero pericolosi...». Lilian Thuram, il giorno che tutti erano Charlie, disse in una scuola che tre francesi avevano fatto una strage in un giornale. «Perché se non capiamo che siamo tutti francesi non risolveremo mai questi problemi».
[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"506511","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"353","width":"512"}}]]
Lilian Thuram fu contattato da Sarkozy, che gli propose di diventare ministro delle diversità. «E perché dovevo essere io il ministro delle diversità, e non il mio collega bianco? La politica non fa per me, io penso a cose più importanti, come quello che sto facendo ora. Io non sono né impegnato, né militante, semplicemente io voglio far riflettere le persone discutendo». Applausi, autografi, foto, pacche sulle spalle. «Che poi - ride - se dobbiamo dirla tutta, io sono marrone e voi (alza un fazzoletto bianco) non siete di questo colore, ma al massimo rosa o beige chiaro...».
[[{"type":"media","view_mode":"media_large","fid":"506516","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"383","width":"480"}}]]