Supercoppa europea al Barcellona Luis Enrique come Guardiola
Un’impresa che rischia di apparire quasi scontata. Eppure la vittoria al cardiopalma (5-4) a Tbilisi contro il Siviglia vale più della semplice Supercoppa europea per il Barcellona, capace di centrare e vincere la quarta finale di fila in questo splendido 2015. Un percorso netto che - Supercoppa nazionale contro il Bilbao (venerdì e lunedì prossimi) e Mondiale per club permettendo - potrebbe di nuovo portare i blaugrana a centrare l’epica stagione 2009 quando, con Pep Guardiola in panchina, misero a segno lo storico «sextete».
Se il metro di giudizio è la prima ora di gioco messa in mostra allo Stadio Mikheil Meskhi della capitale georgiana allora non ce ne sarà per nessuno. In 10 anni il Barcellona ha cambiato allenatori (Rijkaard, Guardiola, Villanova, ‘Tatà Martino, Luis Enrique), ha visto andar via fior di giocatori (Ronaldinho, Et0'o, Puyol, Xavi tanto per citare i più grandi), ha combattuto contro top team (Real, Bayern, Manchester Utd su tutti) ma alla fine è riuscito quasi sempre a vincere, meritandosi l’appellativo di “squadra più forte del mondo”, se non la più forte di sempre.
È vero che nelle sue file gioca un certo Leo Messi che ieri sera ha messo in bacheca il suo 25° trofeo con la maglia blaugrana, ma non basta la presenza del fuoriclasse argentino per spiegare un ‘miracolò che va avanti da un decennio. Il Barca un anno fa era reduce da un’annata deludente, in cui aveva cambiato allenatore e strategie senza successo. Gli anni d’oro di Guardiola sembravano lontani e il nuovo tecnico Luis Enrique, ex storico, sembrava più una scommessa che un allenatore inesperto, reduce com’era da una buona stagione col Celta Vigo e dalla brutta esperienza con la Roma. Come non detto. Con «Lucho» il Barca ha collezionato via via solo numeri da urlo che hanno fatto dimenticare il suo impatto turbolento sulla panchina, vuoi per i suoi dogmi tattici e l’addio al tiki taka, vuoi per i rapporti non proprio idilliaci instaurati dentro lo spogliatoio. Dal tiki taka si è passati al ‘dai e vaì e un gioco più verticale e meno lezioso.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: ne sanno qualcosa le corazzate Manchester City, Psg e Bayern, spazzate via in Champions. La Juve ci ha provato ma alla fine ha dovuto alzare bandiera bianca anch’essa. C’è tanto di Messi e tridente delle meraviglie nelle nuove vittorie catalane è vero, ma anche Luis Enrique ci ha messo del suo, mandando in soffitta la nostalgia dei tifosi catalani per l’illustre predecessore. Sotto la sua guida quest’anno il Barcellona è tornato la squadra più forte d’Europa, vincendo tutto e soprattutto riprendendo a giocare bene e segnare una montagna di gol: una sorta di evoluzione del calcio 2.0 che vive di movimenti, accelerazioni, cambi di gioco, intuizione e colpi di genio, dove ciascun interprete sa esattamente cosa fare e lo fa con la naturalezza del dio del pallone. Agli avversari per ora resta solo l’illusione di trovarsi di fronte, almeno ogni tanto, la squadra che si è fatta rimontare tre gol dal Siviglia in meno di mezzora.