Patrick Facchini resta scalatore Non più in bici ma tra le vette
Dal ciclismo alle vette con la corsa in montagna il risultato non cambia: Patrick Facchini va sempre fortissimo. L’atleta di Roncone classe 1988, in forza al Brenta Team, domenica si è aggiudicato «La Sportiva vertical kilometer del Latemar», mettendo in riga i big della specialità. Nel ciclismo, da dilettante, si prospettava per lui una carriera luminosa. Nel 2009 però cade e si frattura il femore. Un anno di stop e il trentino, caparbio, torna più forte di prima. Diventa professionista e con l’Androni Giocattoli fa vedere tutte le proprie qualità, disputando nel 2013 un Lombardia da protagonista prima di cadere in discesa nel finale. Nella fredda primavera del Nord per curare una sinusite, Facchini consigliato dal medico della squadra assume il Flumicil, farmaco di uso comune, che si trasforma però in una micidiale tagliola: il principio attivo del prodotto fa scattare infatti una minima positività a un controllo antidoping. Facchini, demoralizzato e deluso dall’ambiente, abbandona il ciclismo. Ma non lo sport. E lui, dotato da madre natura di un «motorone», domenica ha fatto capire ancora una volta di che pasta è fatto...
«Nella gara del Latemar nel tratto finale ne avevo di più degli altri e ho potuto forzare. Sono molto contento».
Come si è avvicinato alla corsa in montagna?
«È nato tutto per gioco, quando dei miei amici della Ski Alp Roncone hanno organizzato la gara di quest’anno. In quell’occasione sono arrivato quarto, non troppo distante dal vincitore. Una settimana fa, invece, ho vinto la “Vertical Scalacia di Vermiglio”».
Affinità con il ciclismo?
«Ci sono molte cose simili. Tra le tante ci vuole una buona capacità nel saper soffrire, proprio come quando devi affrontare una salita in bici».
Come si allena ora?
«Nulla di particolare, anzi. Mi alleno come sempre andando in bici. Ogni due settimane, poi, vado in giro con gli amici per le montagne».
La passione per la montagna è una cosa che ha da sempre?
«È una cosa che mi ha tramandato la mia famiglia. Da parte di mia madre ho anche due cugini che gestiscono due bellissimi rifugi in Val di Sole, Vioz e Cevedale».
C’è un po’ di delusione in lei verso il ciclismo, che ha lasciato?
«Il tempo sa guarire qualsiasi cosa. Certo che per come è finito tutto quanto, il fastidio c’è. Non posso negare che se una squadra mi venisse a chiamare non ci penserei su due secondi ad accettare. Vorrei dimostrare a tutti che posso stare ancora lì davanti».
La sua vita si può dire che sia cambiata...
«Su alcuni aspetti. Vivo con la mia ragazza e a febbraio diventerò papà. Adesso sto facendo la scuola di Massiofisioterapia a Brescia che finirò a giugno. In estate sono istruttore al parco avventura in val di Breguzzo».