Pugni, soldi e galera: i 50 anni di Mike Tyson
L’Angelo e il Diavolo. Nell’anno in cui è venuto a mancare Muhammad Ali, compie domani 50 anni l’uomo che ne ha preso il posto nell’immaginario popolare, pur non essendo mai stato anche un esempio di vita come il Più Grande.
Mike Tyson, almeno fin quando ha combattuto, ha vissuto nel segno degli eccessi, come ha scritto lui stesso nella biografia «True», tra alcol, droghe e violenze, come quella che gli è costata la condanna per lo stupro di Desiree Washington e il carcere. L’ex campione del mondo dei pesi massimi si è ritirato undici anni fa, ma gli rimane l’etichetta di uomo più cattivo del pianeta, i suoi pugni avevano una potenza devastante e mai soprannome fu più meritato come quello di Iron Mike, l’uomo che terrorizzava gli avversari.
Tyson resterà nella storia anche per essere stato il più giovane campione mondiale di sempre nella categoria regina della boxe, allevava piccioni e stendeva uno dopo l’altro gli avversari, era l’uomo a cui nessun padre avrebbe fatto sposare la propria figlia e viveva in una mega-villa a Las Vegas con parco popolato da tigri e altri animali feroci. Raccontava di bere champagne perfino a colazione, e per la poco lucidità che a volte ne derivava perse clamorosamente contro James Buster Douglas a Tokyo, dove la sua irrefrenabile voglia di sesso lo aveva portato ad andare a letto con una serie di ragazze del posto, una dopo l’altra e nonostante l’imminenza del match.
Ad Ali lo accomuna Trevor Berbick, l’avversario contro cui l’ex Cassius Clay chiuse nel 1981 la carriera e che Iron Mike spedì al tappeto al secondo round appena cinque anni dopo.
Nacque così l’erede di colui che aveva fatto la storia dei pesi massimi ma che, per i mezzi che aveva, durò troppo poco rispetto al maestro. Intanto però era già cominciata la carriera di questo campione frenato per prima cosa dai propri eccessi, e che per girare un ‘cameò in un video di rap disse di essersi ispirato alla figura e i gesti di Benito Mussolini. Dopo che con un morso staccò un pezzo di orecchio a Evander Holyfield si infilò anche nel tunnel della depressione, ritrovandosi obeso, alcolizzato e senza un dollaro, lui che ne aveva guadagnati a centinaia di milioni, nonostante le promesse dell’immancabile Don King, il promoter come lui ex galeotto.
Uno dei pochi a essergli rimasto accanto, lo ha raccontato lo stesso Tyson, è stato Donald Trump, nei cui alberghi-casinò Mike ha spesso combattuto, e per questo ora lo sta appoggiando nella corsa alla Casa Bianca, nonostante il magnate candidato voglia negare l’ingresso negli Usa ai musulmani, fede religiosa di Iron Mike che è un altro punto di contatto con Muhammad Ali. Ma proprio negli anni a ridosso del mezzo secolo di vita, e per merito della terza moglie Lakiha «Kiki» Spicer («non me la merito», dice lui), Tyson è rinato quando nessuno se lo aspettava, fa l’attore di serial e di film e ironizza sul proprio passato, come quando ha mimato sul grande schermo il gesto del morso. Parla spesso di sé in pubblico affinchè gli altri non commettano i suoi errori, e per promuovere il pugilato professionistico lo hanno chiamato in Cina. Degli eccessi e le sregolatezze di un tempo sembra non esserci più traccia, gli rimane casomai il rimpianto di non aver fatto ancora di più sul ring, ma si sa che il genio spesso non si accompagna con l’esempio.