Doping di Stato, Giudizio sospeso del Cio sulla presenza della Russia a Rio

Anche se le Olimpiadi cominceranno tra poco più di due settimane, il Comitato olimpico internazionale (Cio) non ha ancora preso una decisione definitiva sulla Russia, travolta dallo scandalo doping, per studiare «tutte le opzioni legali» tra un’esclusione collettiva del Paese dai Giochi di Rio e «il diritto alla giustizia individuale» degli sportivi russi». In un lungo comunicato, il Cio precisa che «prenderà in considerazione» il parere del Tribunale arbitrale dello Sport (Tas) di Losanna, atteso per giovedì, in merito al ricorso dei 68 atleti russi che contestano la loro sospensione successiva a quella della Federazione d’atletica del loro Paese.

Il Cio, riunitosi d’urgenza quest’oggi, ha stabilito il riesame completo di tutti gli atleti russi (e i rispettivi allenatori) presenti ai Giochi invernali di Sochi del 2014 e ha chiesto di conseguenza «a tutte le Federazioni internazionali di aprire singole inchieste di concerto con la commissione McLaren e, in caso di accertate violazioni delle norme antidoping, di squalificare le federazioni nazionali».

Intanto, il Comitato olimpico guidato da Thomas Bach ha vietato al ministro dello Sport russo, Vitali Mutko, di prendere parte alle prossime Olimpiadi. Il Cio, infatti, «non accorderà alcun accredito ai funzionari del ministero né a tutte le persone citate nel dossier McLaren».

Intanto Vladimir Putin agita lo spettro di un ritorno al passato, ai tempo di Mosca 1980 e Los Angeles 1984, cercando di uscire dall’angolo in cui si trova la Russia dopo la pubblicazione del rapporto choc dell’Agenzia mondiale antidoping sul doping di stato nel Paese, che rischia di mettere al bando tutti gli atleti russi dagli ormai imminenti Giochi di Rio. «C’è una pericolosa ricomparsa della politica che interferisce con lo sport», ma Mosca «non intende boicottare le Olimpiadi». Il presidente russo, tra affondi e parate, rievoca il tempo in cui anche lo sport divenne terreno di scontro con l’America, il tempo delle Olimpiadi dimezzate, simbolo in negativo dello spirito dei Giochi.

Non bastavano più il confronto sul campo, il medagliere come strumento di propaganda, il doping assunto a sistema, specie nell’Est, e che da allora è cresciuto tanto da divenire il motivo fondante del nuovo testa a testa. L’enorme risonanza che il principale evento sportivo aveva assunto grazie ai media ne incoraggiava lo sfruttamento a fini politici e così fu.

Gli Stati Uniti si mossero per primi, boicottando i Giochi per punire Mosca dell’invasione dell’Afghanistan, cominciata nel dicembre 1979. L’allora presidente Jimmy Carter sperava con la minacce di indurre i russi a ritirarsi, ma non ebbe successo e quindi tirò dritto, coinvolgendo nella clamorosa protesta altre 65 nazioni. Molte altre, tra le quali l’Italia, parteciparono senza bandiera nè inno nazionale e tenendo a casa gli atleti militari. Gli azzurri chiusero quinti nel medagliere, dominato da Unione Sovietica e e Germania Est, e di quei giorni cupi restano la gioia e l’orgoglio per l’oro di Pietro Mennea nei 200 o per quello di Sara Simeoni nel salto in alto.

Quattro anni dopo, Ronald Reagan aveva preso il posto di Jimmy Carter, mentre a capo dell’Urss c’era Kostantin Cernenko, ancora alle prese con il conflitto afgano. Mosca non aveva dimenticato lo smacco e, nonostante le rassicurazioni di non covare vendette, mosse le sue pedine per giustificare il contro-boicottaggio. L’8 maggio annunciò che non avrebbe mandato i suoi atleti in California per paura di aggressioni e poco dopo fecero lo stesso gli altri paesi del Patto di Varsavia. In tutto furono meno di una ventina gli assenti e le olimpiadi americane non furono un flop come quelle moscovite, ma il vulnus è rimasto. Ora il fantasma del boicottaggio, riecheggiato dal doping, è tornato ad aleggiare.

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