Sharapova, Fury, Johaug: la Nazionale del doping
Ormai è quasi una epidemia, non passa settimana che non ci sia un caso di doping «eccellente» a offuscare l’orizzonte dello sport mondiale. Praticamente tutte le discipline, calcio a parte stando ai test, ne sono afflitte Dal caso di Schwazer al «doping di Stato» in Russia, fino al dramma di Tyson Fury in lotta con la cocaina e per questo costretto a mollare il titolo mondiale dei pesi massimi, anche il 2016 è stato il caso di tanti, troppi, atleti trovati positivi ai controlli. È una «rappresentativàa» numerosa che abbraccia un pò tutti gli sport, e che sarebbe ancor più numerosa se comprendesse anche coloro in possesso delle esenzioni terapeutiche.
Gli ultimi casi riguardano la norvegese Therese Johaug, icona dello sci di fondo, idolo in patria e vincitrice della Coppa del mondo, e altri cinque marciatori della Russia, fra i quali Mikhail Ryzhov, vicecampione del mondo nel 2013. Ma la galleria è lunga.
In Italia ha tenuto banco il caso di Alex Schwazer e la seconda positività, secondo l’altoatesino e il suo allenatore Sandro Donati frutto di un complotto, che lo ha privato dell’Olimpiade di Rio. Giochi carioca sfumati quasi all’ultimo momento, sempre in casa azzurra, anche per il canottiere Niccolò Mornati, la velista Roberta Caputo e la specialista del beach volley Viktoria Orsi Toth.
A rendere ancor più brucianti le loro esclusioni c’è stato il caso di chi invece le Olimpiadi le ha disputate pur essendo stato trovato positivo in tempi recenti ma ha potuto partecipare tra sanatorie e squalifiche blande: è il caso di due nuotatori, la russa Yulia Efimova, fischiatissima dal pubblico di Rio, e del cinese Sun Yang, argento nei 400 stile libero e al quale il vincitore, l’australiano Horton, non ha voluto stringere la mano.
Nomi illustri nel tennis, come Maria Sharapova alle prese con il caso del Meldonium, sostanza che in Russia ha inguaiato parecchi altri atleti, ad esempio la «stella» della pallavolo Alexander Markin e quelle dello short track Pavel Kulizhnikov ed Ekaterina Konstantinova. Nell’atletica è venuta fuori il nome della saltatrice in alto Anna Chicherova che, oltre a dare forfait a Rio, è stata costretta a restituire il bronzo vinto ai Giochi di Pechino, «inchiodata» dai risultati delle analisi fatte a otto anni di distanza con le nuove metodologie. Rischia di dover restituire la medaglia, in questo caso d’oro, anche il quartetto della 4X100 della Giamaica (quindi anche Bolt), a causa della positività di Nesta Carter, uno dei quattro frazionisti.
E a proposito di chi porta questo cognome, nel rugby sta facendo scalpore il caso di Dan Carter, che oltre a essere l’apertura del Racing Parigi è anche il miglior giocatore del mondo, il Messi o Cristiano Ronaldo della palla ovale. Lui e l’altro neozelandese Joe Rokocoko sono risultati positivi ai corticosteroidi dopo il test effettuato al termine della finale del Top 14 della scorsa stagione. Proprio oggi sono stati ascoltati dal tribunale sportivo francese e tira aria di assoluzione.
Il 2016 è anche l’anno dell’inchiesta del «Sunday Times», pubblicata ad aprile, in cui il discusso medico londinese Mark Bonar rivelava di aver dopato con epo, steroidi e ormoni 150 atleti fra i quali molti calciatori della Premier League. L’agenzia britannica avrebbe dovuto fare sfracelli, invece non se n’è saputo più niente.