Scoperte le onde gravitazionali Confermata la teoria di Einstein
Sono state scoperte le onde gravitazionali previste da Einstein
Sono state scoperte le onde gravitazionali previste da Einstein. Le ha rilevate lo strumento Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), in Usa, e i dati sono stati analizzati dalle collaborazioni internazionali Ligo e Virgo. Quest’ultima fa capo allo European Gravitational Observatory (Ego) fondato e finanziato da Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e Consiglio nazionale delle ricerche francese (Cnrs). L’annuncio è stato dato oggi a Cascina (Pisa), dove si trova lo strumento Virgo.
«Abbiamo osservato il primo evento in assoluto nel quale una collisione non produce dati osservabili, se non attraverso le onde gravitazionali», ha detto all’ANSA il coordinatore della collaborazione Virgo, Fulvio Ricci. Tutto, ha aggiunto, «è durato una frazione di secondo, ma l’energia emessa è stata enorme, pari a 3 masse solari».
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I due buchi neri formavano una «coppia», ossia un sistema binario nel quale l’uno ruotava intorno all’altro. «Avevano una massa rispettivamente di 36 e 29 volte superiore a quella del Sole. Si sono avvicinati ad una velocità impressionante, vicina a quella della luce. Più si avvicinavano, più il segnale diventava ampio e frequente, come un sibilo acuto; quindi è avvenuta la collisione, un gigantesco scontro dal quale si è formato un unico buco nero. La sua massa è la somma di quelle dei due buchi neri, ad eccezione della quantità liberata sotto forma di onde gravitazionali.
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La notizia della scoperta delle onde gravitazionali è stata accolta con entusiasmo e orgoglio anche a Trento, al Dipartimento di Fisica dell’Università e al Tifpa (Trento Institute for Fundamental Physics Applications), dove lavora un gruppo di ricerca che da più di vent’anni è impegnato nella caccia alle onde gravitazionali e ha preso parte attivamente anche alla scoperta.
Il team di Trento, insieme agli scienziati di Padova e alle unità di ricerca di Hannover e della Florida, ha messo a punto un algoritmo di analisi (la pipeline, in termine tecnico), un programma informatico che setaccia i dati prodotti dai rilevatori alla ricerca di segnali dalla forma sconosciuta: le onde gravitazionali.
E lo scorso 14 settembre dopo solo tre minuti dal rilevamento, è stato proprio il gruppo a certificare per primo i dati, a classificarli come probabili onde gravitazionali e a segnalare agli altri scienziati questa importante osservazione.
«Il nostro è stato un segnale di avviso prezioso - commenta Giovanni Prodi, il fisico sperimentale che coordina il gruppo - che ha permesso di confermare l’assetto dei rilevatori, evitando di cambiarne prestazioni e caratteristiche. In un secondo tempo il nostro algoritmo è stato anche in grado di certificare la confidenza della lettura, vale a dire il grado di certezza della scoperta (oltre il 99,999%). Il segnale è stato confrontato infatti con una miriade di segnali di disturbo che sono inevitabilmente captati dal rilevatore. Ma ogni altra ipotesi è stata scartata: si è trattato proprio di onde gravitazionali e noi l’abbiamo per primi certificato».
«Questo risultato - aggiunge Lorenzo Pavesi, direttore del Dipartimento di Fisica - è figlio di un ventennio di lavoro che si è svolto a Trento nell’ambito dell’analisi dei dati sulle onde gravitazionali».
«Stiamo aprendo un nuovo capitolo della fisica»: per Fulvio Ricci, non c’è dubbio che con la scoperta delle onde gravitazionali la fisica abbia messo a segno un’altra conquista storica.
A nemmeno quattro anni dall’annuncio della scoperta del bosone di Higgs, che ha entusiasmato il mondo dei fisici delle particelle, adesso è la volta dell’astronomia, con la cattura dell’increspatura dello spazio-tempo generata da una catastrofe cosmica come la collisione tra due massicci buchi neri avvenuta un miliardo di anni fa.
Secondo Ricci «quella del bosone di Higgs è stata una grandissima scoperta, ma completava un quadro standard. Quello che stiamo vedendo adesso è invece qualcosa di completamente nuovo». Quello che i fisici hanno avuto intercettando il primo segnale che conferma l’esistenza delle onde gravitazionali è «molto più di una verifica, in condizioni estreme, della teoria della relatività generale prevista un secolo fa da Albert Einstein». Questo è sicuramente un passo in avanti notevole, ma c’è di più: «adesso - ha spiegato Ricci - riusciamo a descrivere che cosa accade nell’universo per fenomeni che non si vedono».
Ad esempio la collisione di buchi neri ricostruita sulle base del primo segnale di un’onda gravitazionale è un evento invisibile perfino ai telescopi più potenti perchè non emette altro che onde gravitazionali.
«Abbiamo a disposizione uno strumento di osservazione completamente nuovo e possiamo dire che si apre un nuovo capitolo dell’astronomia». E poichè queste ultime adesso si possono intercettare, «adesso possiamo studiare ciò che non si vede». Si aprono le porte a un nuovo tipo di astronomia, l’astronomia gravitazionale.
Finora, per esempio, l’esistenza dei buchi neri veniva dedotta dall’osservazione di emissioni raggi X nei sistemi binari nei quali in cui c’è un buco nero, ma ora le onde gravitazionali permettono di conoscere fenomeni come questi nei dettagli. «Queste prime misure classificabili - ha osservato - permettono di scrivere il nuovo capitolo della fisica chiamato gravitodinamica, che descrive i movimenti rapidissimi legati ai fenomeni gravitazionali».
LA SCHEDA
Ipotizzate un secolo fa dalla teoria della relatività di Albert Einstein, le onde gravitazionali sono le «vibrazioni» dello spazio-tempo provocate da fenomeni molto violenti, come collisioni di buchi neri, esplosioni di supernovae o il Big Bang che ha dato origine all’universo.
Come le onde generate da un sasso che cade in uno stagno, le onde gravitazionali percorrono l’universo alla velocità della luce creando increspature dello spazio-tempo finora invisibili.
Poichè interagiscono molto poco con la materia, le onde gravitazionali conservano la memoria degli eventi che le hanno generate. La loro esistenza era supportata finora solo da prove indirette ma da adesso diventa possibile osservarle in modo diretto e con esse osservare una porzione dell’universo finora invisibile e misteriosa, come le zone popolate dai buchi neri o da fantascientifiche «scorciatoie» per viaggiare nell’universo, i cosiddetti «cunicoli» dello spazio-tempo (wormhole).
La scoperta delle onde gravitazionali è anche la conferma definitiva della teoria della relatività generale. Erano infatti l’unico fenomeno previsto da questa teoria a non essere stato ancora osservato. Secondo Einstein, quando una qualsiasi massa (che sia un sasso, una stella o un buco nero) viene accelerata, emette onde gravitazionali. Sono segnali molto deboli e complicati da osservare perché fanno «oscillare» tutto lo spazio-tempo, compresi gli strumenti che dovrebbero rilevarli.
Riuscire a vederle è stata considerata a lungo una sfida impossibile.
Nonostante ciò negli anni ‘60 il fisico americano Joseph Weber mise a punto un strumento che teoricamente avrebbe potuto rivelare l’impossibile. Erano due grandi antenne cilindriche distanti fra loro 1.000 chilometri che, se attraversate da un’onda gravitazionale, avrebbero oscillato con un piccolo ritardo l’una rispetto all’altra. L’esperimento fallì ma dette inizio alla sfida. L’Italia la raccolse da subito con uno dei ragazzi di via Panisperna, Edoardo Amaldi, e con Guido Pizzella.
Auriga e Nautilus sono stati i primi esperimenti, condotti nei Laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) di Legnaro (Padova) e Frascati (Roma), e con Explorer al Cern di Ginevra.
Oggi gli strumenti più avanzati sono interferometri laser, come le due macchine gemelle americane Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) e l’europeo Virgo, ideato da Adalberto Giazotto e realizzato a Cascina (Pisa) dalla collaborazione tra Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs), nell’ambito dello European Gravitational Observatory (Ego).
Per il futuro si punta alla costruzione di un super telescopio «gravitazionale» nello spazio, che potrebbe nascere dai test che sta conducendo la missione Lisa Pathfinder, dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).