Iglesias bacia sulla bocca il collega La scena diventa virale nei social
È diventato rapidamente virale sulle reti sociali la fotografia di un bacio apparentemente sulla bocca nell’aula del Congresso dei deputati fra il leader di Podemos Pablo Iglesias e il portavoce di En Comu Podem, l’alleato catalano del partito post-indignado, Xavier Domenech.
La foto è stata scattata quando Iglesias si è alzato per congratularsi con Domenech per il discorso che aveva appena pronunciato nel dibattito sul tentativo di investitura del leader socialista Pedro Sanchez.
Testimoni del bacio, sullo sfondo tre ministri seduti sul banco del governo uscente i titolari di economia, agricoltura e sanità, Luis de Guindos, Isabel Garcia e Alfonso Alfonso.
La foto ha incendiato i social. Alcuni internauti hanno paragonato il bacio fra i due dirigenti della nuova sinistra spagnola con quelli con cui si salutavano anni fa i dirigenti comunisti russi e delle repubbliche «sorelle».
Fra i più celebri, quello fra il russo Leonid Brejnev e il tedesco Erich Honecker o fra quest’ultimo e il russo Michail Gorbaciov.
La Vanguardia online rileva che già più volte in passato i due politici alternativi spagnoli si sono salutati cosi, ma è la prima volta che avviene davanti a fotografi e teleoperatori, e davanti a tutto il parlamento.
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Sul fronte politico, dunque, nessun miracolo nel Congresso di Madrid per Pedro Sanchez: il candidato premier socialista non è riuscito ad ottenere l’appoggio di una maggioranza dei deputati spagnoli. Farà un secondo e ultimo tentativo venerdì.
Il segretario del Psoe ha ottenuto solo 130 voti a favore, i 90 del suo partito e i 40 dei suoi alleati di Ciudadanos, contro 220 contrari e una astensione. Dopo 16 ore di dibattito non è riuscito a convincere nessuna altra formazione politica.
Salvo spettacolari colpi di scena il risultato rischia di essere di nuovo negativo anche venerdì. Il dibattito di investitura ha messo in evidenza l’isolamento del segretario del Psoe, appoggiato solo dal partito di centrodestra di Albert Rivera, e martellato dalle critiche incrociate da destra e sinistra del premier uscente e presidente del Pp (123 deputati) Mariano Rajoy e del leader di Podemos (65) Pablo Iglesias.
Hanno annunciato voto contrario anche gli indipendentisti catalani e baschi e Izquierda Unida. Sanchez ha ripetuto lungo tutto il dibattito come un mantra di volere «il cambiamento», senza convincere, ponendosi come unica alternativa a Rajoy.
All’esordio dalla tribuna del Congresso dopo l’irruzione degli ‘emergentì di Podemos e Ciudadanos alle politiche del 20 dicembre che hanno lasciato il paese quasi ingovernabile Iglesias lo ha accusato di essere «agli ordini delle oligarchie» e di non volere un governo di sinistra. Podemos ha rotto le trattative con il Psoe dopo che Sanchez martedi scorso ha siglato un accordo con Rivera.
Iglesias ha citato Machiavelli e Manu Chao, ha fatto ribollire i banchi del Psoe accusando il leader storico socialista Felipe Gonzalez di avere «un passato macchiato dalla calce viva».
Duro e sarcastico l’intervento di Rajoy, pronto a tornare in pista la settimana prossima e di candidarsi a premier quale leader del partito più votato se Sanchez perderà anche venerdì. Il premier ha bollato come «fittizia e irreale» la candidatura di Sanchez, arrivato davanti al Congresso «senza una maggioranza e senza un governo» per «lanciare la campagna elettorale» in vista del probabile ritorno alle urne in giugno.
Rajoy ha anche rivendicato di avere fatto uscire la Spagna dalla crisi in cui era caduta sotto il suo predecessore Josè Luis Zapatero, compagno di partito di Sanchez. Dopo il primo ‘no al candidato socialista si prevede un incerto ‘secondo tempò della complessa partita politica madrilena partire dalla settimana prossima, se il leader Psoe sarà definitivamente bocciato venerdì.
La parola tornerà a re Felipe, che potrebbe incaricare un altro leader - Rajoy, ancora Sanchez in una ipotesi governo di sinistra, l’alternativa Rivera o un outsider super partes - di tentare la scalata all’ investitura.
I tempi saranno stretti. Rimarranno solo sette settimane per uscire dall’attuale infinita crisi politica, innescata dalle legislative del 20 dicembre, che hanno prodotto un Congresso quasi ingovernabile. Senza un nuovo governo il 3 maggio il ritorno alle urne in giugno sarà automatico.