Quelle chat di classe e i genitori da educare
Dalla caccia all'«untore» che ha attaccato i pidocchi ai compagni di classe alle critiche feroci rivolte agli insegnanti. E così i gruppi WhatsApp fra genitori - che sulla carta dovrebbero servire per comunicazioni utili su scuola e compiti - rischiano di diventare amplificatori di conflitti e sfogatoi fuori controllo.
Al punto che alcuni presidi vogliono vietare le chat di classe. Da Milano e Bari, l'invito è lo stesso: «Non trasformatele in tribunali virtuali». Anche in Trentino, come confermano i dirigenti, i problemi non mancano. «Ma non demonizziamo lo strumento», dicono. La strada deve essere quella dell'educazione ad un uso responsabile. Già, perché paradossalmente, mentre nelle scuole si fanno incontri con i ragazzi per richiamare ad un utilizzo corretto dei social, spesso sono mamma e papà a dimenticare rispetto e buonsenso quando digitano sulla tastiera del telefono.
Valentina Zanolla , dirigente del Liceo scientifico Da Vinci, in passato preside di un istituto comprensivo, ammette: «Non è facile controllare se si degenera nell'uso di questi gruppi, tutto sta nella correttezza e nell'intelligenza di chi li usa. Abolire il mezzo - evidenzia - non credo serva: le chiacchiere viaggiavano anche senza WhatsApp e i tribunali, magari altrove, ma si facevano. Bisogna cercare di fare passare informazioni corrette e fare comunicare in modo efficace tra scuola e famiglia, famiglia e famiglia e genitori e ragazzi. Allora le cose si prevengono, non certo chiudendo i gruppi».
Di uso responsabile parla anche Sandra Boccher , dirigente del Centro scolastico Valsugana con sede a Roncegno: «Noi non puntiamo mai a demonizzare i sistemi di comunicazione, ma ad una educazione, anche dal punto di vista valoriale». Ma per farlo servono dei paletti. «La consulta dei genitori lo scorso anno ha fatto una sorta di regolamento per condividere alcune linee base per l'uso positivo di questi mezzi. In questo modo è il sistema che si auto controlla, ovviamente con tutte le défaillance che possono esserci».
Non nasconde la sua perplessità sull'uso delle chat di classe Paola Pasqualin , dirigente dell'Istituto comprensivo Trento 6: «Io non dò suggerimenti agli adulti, ma se me lo chiedono la sconsiglio. Agli insegnati dico di non entrare in nessun gruppo WhatsApp e ai genitori che mi riferiscono che nel gruppo quel genitore ha insultato, rispondo: "Siete adulti, non possiamo prenderci in carico anche questo". Noi - dice - insegnamo ai ragazzi, facendo incontri anche con la polizia postale, quali sono i rischi. Ecco perché, chi fa affermazioni pesanti e non rispettose della identità altrui, deve risponderne. Lo strumento sarebbe utile, ma se ne fa un cattivo uso, perché diventano chiacchiere di mercato dove ciascuno si sente autorizzato a dire quello che vuole, quando invece non è così».
Anche per Teresa Periti , dirigente dell'Istituto comprensivo «J.A. Comenius» il nodo centrale è l'uso responsabile dello strumento: «Può facilitare una comunicazione diretta e immediata tra le famiglie, dunque non è da demonizzare. Ma la scuola e i genitori sono un punto di riferimento per i ragazzi e se non lo usano in modo corretto, danno un esempio deleterio. Se la madre critica la maestra con WhatsApp, anche il ragazzo si sente autorizzato a farlo e ad usarlo in modo improprio. Non dimentichiamo che la prepotenza tra ragazzi passa anche attraverso Whatsapp».
«A volte - le fa eco Sara Turrini , dirigente dell'istituto comprensivo di Vigolo Vattaro - per gli adulti non è chiaro che si tratta di uno strumento di comunicazione. Credo che si nascondano dietro il mezzo e non si rendano conto che la comunicazione è pubblica e resta tracciabile. Mi chiedo se queste persone, in un dialogo pubblico, direbbero le stesse cose».