Addio Jacopo: strappato alla vita a 12 anni A scuola un banco vuoto, una valle in lacrime
La voglia di vivere, di crescere, di stare in mezzo agli altri, smorzata troppo presto. E l’entusiasmo, il desiderio di fare qualsiasi cosa, di non rimanere solo a guardare, portato via da quel male che l’ha strappato all’affetto dei suoi cari, degli amici, dei compagni di classe. Sì, perché per Jacopo Santoni, 12 anni appena, la vita ha riservato un destino ingiusto e inspiegabile, una malattia - scoperta quasi per caso solo due anni fa - e il calvario della chemioterapia. Che per un po’ aveva restituito la speranza, il sorriso, la spensieratezza. Poi, nelle ultime settimane, l’improvviso peggioramento, che in un letto dell’ospedale, domenica sera, si è infine portato via tutto. Lasciando il vuoto, il silenzio.
È una comunità intera quella toccata dal lutto, incredula di fronte alla notizia che - nel giro di poche ore - ha fatto ieri il giro di tutti i paesi della valle, sgomenta e impotente di fronte al dolore, all’immenso e indicibile dolore, della famiglia Vivaldelli-Santoni di Biacesa. Perché nonostante la sua giovane età, Jacopo era molto conosciuto, non solo nel paese in cui viveva ma anche a Molina, dove aveva frequentato la scuola materna e l’elementare, e a Bezzecca, dov’era impegnato ad affrontare assie
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me ai compagni di classe il secondo anno alle scuole medie.
«Jacopo era pieno di vitalità, scherzava con tutti sdrammatizzando sulla malattia, portandola dentro di sé nel miglior modo possibile - ricordano in paese - aiutava il «Gruppo eventi Biacesa» in occasione delle manifestazioni, tanto che anche all’ultima la passeggiata in notturna a San Giovanni, prima di Natale, lui era lì, occupato a versare bevande calde ai partecipanti».
La passione di Jacopo era però il tennis e buona parte del tempo libero amava passarlo in riva al lago, nella struttura sportiva di Besta, tra i soci del circolo, gli amici, gli altri tennisti in erba, sempre indaffarato, preso, occupato a far qualcosa, che si trattasse di allenamenti, partite, o più semplicemente di raccattare le palle, mettere in ordine, chiacchierare.
«Qui, ancora piccolo, aveva iniziato a muovere i primi passi con la racchetta in mano, tra un dritto ed un rovescio presto il gioco era diventato passione - ricorda Raffaele Cimadom, maestro di tennis di Jacopo e amico di famiglia - poi, per un certo periodo, si era spostato ad Arco. Tre anni fa era tornato ad allenarsi con noi, tanto da diventare uno dei nostri giovani agonisti. Aveva gareggiato ottenendo dei bei risultati, si era classificato. Poi la malattia, che per un certo periodo l’aveva tenuto lontano dai campi. Ma lui amava stare con gli altri e non appena poteva tornava qui, anche solo a dare una mano, combattente coraggioso con il cappellino in testa e il sorriso sulle labbra. E una volta ristabilite le forze, invogliato nel vedere il fratellino giocare, aveva ripreso la racchetta, alternandola al calcio, alla bici. Non stava fermo, gli piacevano i fiori e con sua grande gioia gli avevamo affidato la cura delle aiuole del circolo. Non si è mai lamentato, in modo intelligente ci ha insegnato come si fa a diventare grandi. Mercoledì era venuto a salutarmi, ma non avrei mai pensato che quella sarebbe stata l’ultima volta...».
Il funerale verrà celebrato domani, mercoledì 2 marzo, alle 14.30 nella chiesa di Biacesa, mentre questa sera, alle 20, la comunità si raccoglierà in preghiera.
A SCUOLA C'È UN BANCO VUOTO
C’è un banco vuoto, nella II A della media di Bezzecca. Vuoto come lo sguardo di chi, a soli 12 anni, si trova ora a cercare di dare un senso all’assenza.
Ieri mattina, le lezioni, i compiti, le interrogazioni, sono state messe da parte. I compagni di classe di Jacopo hanno affrontato il lutto e, affiancati dai professori, raccolto il dolore. «Eravamo tutti impreparati perché, nonostante i lunghi periodi di lontananza dovuti alla malattia, Jacopo desiderava che almeno a scuola la sua vita fosse segnata dalla normalità. Fin dall’inizio - raccontano le insegnanti - abbiamo percepito, ed assecondato, il suo bisogno di essere considerato un alunno come tutti gli altri, che la sua quotidianità fosse la stessa dei compagni. Ci chiedeva quali fossero i compiti da fare, quali le lezioni da recuperare, grande il suo impegno nel voler imparare ed esser messo al passo degli altri.
Fino a due settimane fa era qui, con tanta voglia di fare. Per noi è stato un piccolo eroe, perché in due anni non ha mai trasmesso alcuna preoccupazione o tristezza. Quando abbiamo detto in classe che d’ora in avanti nella nostra comunità sarebbe mancata una persona speciale, abbiamo avvertito tutti il naturale bisogno di piangere, di elaborare insieme il dolore: c’è chi ha scritto delle frasi, chi una lettera, chi ha voluto fare dei disegni».
Così come i soci del circolo: «Ciao campione! Hai giocato e combattuto fino all’ultimo la tua partita più difficile, senza mai mollare pur sapendo che l’avversario questa volta era troppo duro da battere. Ci hai resi partecipi della tua battaglia come se nulla fosse, da leader che eri ci hai fatto capire tante cose, fin troppe per la tua età, rendendoci grandi con i tuoi sorrisi mentre lottavi da guerriero. Adesso puoi andare a fare il “comandaresso” dove vuoi tu, adesso gliela puoi spiegare a tutti lassù come va la vita!».