Fioriscono le rose: i percorsi al Museo etnografico bellunese

Per una decina di giorni, dal 29 maggio al 7 giugno, le Dolomiti Bellunesi diventano il regno delle rose, con visite guidate e conferenze, corsi, degustazioni e piatti a tema. I ristoratori del gruppo «Belluno Dolomiti» hanno infatti organizzato una serie di cene e pranzi a base di rose antiche: dall’Alpago fino a Livinallongo del Col di Lana (ai piedi del passo Pordoi), gli chef dei ristoranti dei Monti Pallidì si sono sbizzarriti e propongono piatti preparati con i petali delle rose di Seravella e dei roseti sparsi nelle ville venete della Valbelluna.

L’idea parte proprio dal Museo etnografico della Provincia di Belluno e del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi: di fronte alla villa dei conti degli Azzoni Avogadro, sede del museo a Seravella di Cesiomaggiore, sulle colline tra Belluno e Feltre, c’è un bel giardino pensile dove da quasi una ventina d’anni vengono curate oltre 300 piante di rose antiche. Dietro ai roseti e alla villa svettano le prime crode dolomitiche, che al tramonto e all’alba fanno da eco ai colori dei fiori: come da leggenda, del resto.
Re Laurino aveva un meraviglioso roseto. Spezzato dalla fine di un amore, decise di nascondere per sempre il suo splendido giardino, pietrificandolo. Si dimenticò però del tramonto, il momento in cui le crode pallide delle Dolomiti si infiammano di rosa acceso, e si rivela a chi alza lo sguardo alle montagne l’antichissimo giardino di rose dell’infelice re dei nani.

Chissà se il giardino del Museo etnografico potrebbe competere con quello leggendario del povero Laurino: anche Seravella, comunque, ha una sua storia affascinante. Nemmeno una, delle centinaia di piante che caricano l’aria attorno alla villa di profumi, è stata acquistata: il giardino è nato per passaparola e partecipazione spontanea.

La proposta è venuta dalla direttrice del Museo etnografico, Daniela Perco: dal 1997, assieme ad alcuni collaboratori, ha riprodotto varietà di rose antiche scovate nelle case contadine, nelle ville, nelle canoniche, nei cimiteri del Bellunese. All’inizio sono stati gli amici e i conoscenti, a donare le proprie rose al giardino del Museo, col tempo è capitato sempre più di frequente che anche i visitatori tornassero con una nuova specie di rose da aggiungere alla pubblica collezione.

Così oggi nel giardino di Seravella, ai piedi delle Dolomiti, cresce la Rosa Kazanlik, coltivata in Turchia e Ungheria per ricavarne l’essenza e ritrovata a Lasta di Livinallongo; la Doroty Perkins, che profumava un muro al sole nel giardino di una vecchia casa di Tai di Cadore; la Jacques Cartier, scovata nell’orto di una balia di Porcen (a Seren del Grappa) che aveva portato a casa da Varese alcune talee della villa dei signori presso cui lavorava; la Bloomfield Abundance, piccola rosa di porcellana, ricordo dell’emigrazione veneta a Rio Grande do Sul, Brasile, alla fine del XIX secolo.

In programma a Serravella, fra l'altro,anche un corso di acquarello botanico (dal 29 al 31 maggio) e una conferenza di Marta Mazza (venerdì 29, alle 18,30,), storica dell’arte, sul tema «A rose is a rose is a rose is a rose.... Percorsi nell’arte del Novecento». E naturalmente c'è la visita al museo (chiuso il lunedì).

Nel piano terra è presente una sezione dedicata alle consuetudini alimentari di quest'area alpina, che ha come fulcro la cucina della villa con il focolare, uno spazio sulla biodiversità delle varietà coltivate in ambito locale (soprattutto mele e pere, nonché di quelle spontanee commestibili) e un percorso sulla collezione etnografica dell'alpinista - scrittore Giuseppe Mazzotti, conosciuto da tutti come Bepi.

Il primo piano illustra alcune situazioni legate all'adattamento delle popolazioni bellunesi al contesto montano. Vivere in un ambiente ostile, da un punto di vista climatico e morfologico, ha comportato specifiche modalità di insediamento e ha determinato una forte mobilità della gente. Vivere fuori dai propri luoghi ha significato allargare gli orizzonti e le esperienze: balie da latte, domestiche, ciode, manovali per costruire le ferrovie dell'impero austroungarico, seggiolai, minatori, contadini che varcavano anche l'oceano per trovare fortuna. In questo percorso sulla montagna e la mobilità si intersecano alcuni spazi dedicati ai beni immateriali: la fiaba, la leggenda, il canto, la musica, le testimonianze sul lavoro e sulle proprie esperienza di vita.

Animali domestici e selvatici, saperi vegetali e in generale l'ambiente naturale sono i protagonisti del secondo piano dell'esposizione permanente. «Il patrimonio di conoscenze sull’ambiente - spiega il museo - è il frutto di esperienze secolari, di rapporti di stretta frequentazione con il mondo vegetale e animale, di vissuti quotidiani, personali e collettivi, che hanno lasciato profonde tracce nella memoria e nei comportamenti delle popolazioni del Bellunese. Tali rapporti erano alla base di sistemi classificatori che stabilivano le posizioni reciproche di ciascuna specie rispetto a quella umana e definivano gerarchie basate sulla rilevanza di animali e vegetali sia sul piano simbolico che su quello della sopravvivenza stessa dell’uomo. Questi saperi complessi, che hanno consentito di raggiungere equilibri sottili, spesso precari, in un ambiente ostile, stanno scomparendo.

L’abbandono di pratiche consolidate, quali la cura e la pulizia dei boschi e dei pascoli, la drastica riduzione dell’allevamento bovino, dell’agricoltura, della silvicoltura hanno comportato una progressiva disgregazione di questo patrimonio e nuove e diverse modalità di rapportarsi all’ambiente. Chi ha vissuto in prima persona, talora in modo drammatico, la quotidiana contiguità con il mondo animale e vegetale, accogliendo da chi lo aveva preceduto orientamenti e comportamenti, vive oggi in una sorta di smarrimento cognitivo, spaziale, emozionale. E vive nella consapevolezza di non riuscire più a trasmettere alle generazioni future il bagaglio di un sapere, che metteva in gioco tutti gli elementi della sfera percettiva. Alcuni aspetti di questo complesso di saperi, ove si intrecciano linguaggio, percezione, memoria, storia e biografia sono oggetto di  rappresentazione delle sezioni espositive di questo piano del  Museo».

All'esterno, accanto al giordino delle rose, è stato realizzato un campo didattico, in collaborazione con la scuola media di Cesiomaggiore: i ragazzi, seguiti dagli insegnanti e da alcuni genitori e nonni, seminano, curano e raccolgono varietà di cereali, leguminose e ortaggi coltivati nei decenni passati nel territorio bellunese e utilizzati nell’alimentazione tradizionale. In prossimità del campo didattico è stata installata una camera di volo, costruita dagli apicoltori dell’associazione l'Aperina di Cesiomaggiore. Questo apiario-scuola, inaugurato nel 2012, viene usato dagli  apicoltori per illustrare, su richiesta, la vita delle api, il funzionamento dell'alveare e le differenti qualità di miele prodotto nelle Dolomiti Bellunesi.

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