Bressa: le Province ordinarie non elette ma case dei Comuni
Il deputato Pd eletto in Sudtirolo Gianclaudio Bressa, ora sottosegretario agli Affari generali del governo Renzi, interviene difendendo la linea governativa - spesso accusata di centralismo - sia per le autonomia locali sia per la riorganizzazione del potere legislativo prevista dalla riforma costituzionale, che in autunno sarà sottoposta a referendum popolare.
Intervistato dal Gazzettino di Venezia, l'esponente governativo nega che la riforma costituzionale - che sostanzialmente non riguarda le autonomie speciali - depotenzi le Regioni ordinarie e afferma, al contrario, che le rafforza. Una visione che contraddice i pareri di altri analisti, secondo i quali la riforma, con lo scopo di evitare contenziosi istituzionali, trasferisce allo Stato la competenza esclusiva su materie di rilievo primario.
Il sottosegretario bolzanino difende anche la riforma delle Provincie ordinarie, svuotate di potere con la legge firmata dall'allora ministro Graziano Delrio e poi cancellate nel nuovo testo costituzionale contenuto nel pacchetto Boschi per quanto attiene alla revisione del titolo V.
Bressa manifesta pieno sostegno alla cancellazione della rappresentanza diretta dei cittadini negli enti di area vasta (la legge Delrio ha abolito le elezioni provinciali), ma contestualmente sottolinea l'importanza di queste istituzoni per il governo dei territori.
«Scomparirà la Provincia come ente politico, ma non l’Area vasta. Esempio: una strada che attraversa 32 Comuni può essere gestita da 32 Comuni? sarebbe illogico. E come dice il presidente dell’Upi, Variati, i nuovi enti di Area vasta saranno le "case dei comuni", dove i sindaci si confronteranno per definire modalità e percorsi», osserva il sottosegretario del governo Renzi a proposito della trasformazione di questo livello dell'articolazione democratica in un ente gestito direttamente dai sindaci.
Il nodo dello svuotamento democratico delle Province ordinarie era stato contestato con forza da più parti, per esempio dagli autonomisti del movimento Belluno autonoma Regione Dolomiti, che lo scorso anno avevano siglato un accordo proprio su questo punto (e sul'autogoverno delle aree interamente montane) con la segreteria nazionale del Pd (cioè con Matteo Renzi), alla vigilia delle elezioni regionali in Veneto:il sostegno alla candidata del centrosinistra Alessandra Moretti in cambio della rapida approvazione di una legge che restituisse l'elettività all'ente di area vasta nel vicino territorio dolomitico (con un provvedimento applicabile anche a Sondrio e al e Verbano-Cusio-Ossola che si trovano in condizioni in larga misura analoghe).
Contestualmente, il Pd nazionale si era impegnato a imprimere un'accelerazione al processo di autonomia per il Bellunese, peraltro previsto anche dalle leggi venete non applicate dalla giunta di dentrodestra guidata da Luca Zaia, che addebita questa grave inadempienza ai tagli dei trasferimenti finanziari esercitati a Roma: riduzioni che farebbero venir meno i presupposti per il passaggio delle competenze all'area alpina (in materie molto importanti, dall'agricoltura alle attività produttive, dal turismo alle minoranze linguistiche).
Nel frattempo, resta ancora lettera morta il solenne impegno per la Provincia dolomitica assunto a Roma dal Pd e suggellato anche dalle firme di «garanti» autorevoli che supportano gli autonomisti bellunesi, quali l'europarlamentare Svp Herbert Dorfmann.
Il testo, presentato alla Camera, ma evidentemente finito in un binario morto, porta la firma dei deputati Roger De Menech (bellunese, segretario del Pd veneto e già sindaco di Ponte nelle Alpi), Daniel Alfreider (Svp), Enrico Borghi (Pd) e Lorenzo Dellai.