Cermis, 40 anni fa il disastro sulla funivia morirono in 42
Era une delle ultime corse della giornata, da prendere al volo per tornare a valle dopo ore passate sugli piste da sci. Su quella cabina partita dall'Alpe del Cermis, sopra Cavalese, quel 9 marzo 1976, poco dopo le 17, c'erano 43 persone - 21 turisti provenienti da Amburgo, 11 italiani fra cui alcuni studenti di Milano, 7 austriaci, un francese, oltre al manovratore e alcuni operai dell'impianto.
Una discesa divisa in due parti: arrivati ad una stazione intermedia gli sciatori dovevano scendere dalla prima cabina e salire su una seconda per affrontare il secondo tratto della discesa. E proprio in questo secondo tratto avvenne la tragedia: all'improvviso la fune portante dell'impianto cedette e il vagoncino cadde sulle pendici della montagna dopo un volo di circa 30 metri. Poi continuò la corsa per altri 100 metri per fermarsi infine in un prato in località Salanzada. Pochi secondi di terrore, poi il silenzio.
Sul luogo della tragedia i soccorritori trovarono 42 cadaveri e solo un sopravvissuto, una ragazza di Milano di 14 anni, Alessandra Piovesana, con entrambe le gambe fratturate ma salva, perchè protetta dai corpi degli altri sciatori che le fecero da scudo. Una testimonianza drammatica la sua, raccolta dopo una lunga convalescenza. «Ebbi inizialmente la sensazione che la cabina andasse indietro, poi il senso di vuoto, la caduta. Svenni, ma tornai in me prima dell'arrivo dei soccorsi», disse Piovesana, morta nel 2009 a 49 anni. Quella testimonianza fu raccolta nel febbraio 1998, subito dopo la seconda tragedia del Cermis, quando un'altra funivia precipitò dopo che un caccia statunitense tranciò i cavi nel corso di un'azzardata manovra a bassa quota.
Lunghe e difficili furono le indagini per fare luce sull'origine della tragedia e sulle responsabilità. In base alle perizie, la caduta della cabina venne provocata dal disinserimento dei circuiti automatici di sicurezza, operato, come sostenne l'accusa, per rendere più spedito il trasporto dei passeggeri. Nel manovrare manualmente gli strumenti la fune traente finì con l'accavallarsi sulla portante, provocandone il tranciamento e con esso la caduta del vagoncino di risalita. Per l'incidente la Cassazione ritenne unico responsabile il manovratore, Carlo Schweizer, risultato privo di patente, condannato a tre anni di reclusione per disastro colposo. L'uomo - secondo l'avvocato difensore - fece da capro espiatorio per responsabilità che investivano invece la società di gestione degli impianti. Fra condoni ed amnistie, Schweizer scontò nove mesi di carcere. «Sono stato abbandonato, sono ancora senza lavoro e vivo fra mille umiliazioni», disse avvicinato dai giornalisti dopo la sciagura di Stava del luglio 1985 (sempre in val di Fiemme, 268 morti travolti dal fango dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel).
Schweizer morì poco dopo la seconda tragedia del Cermis. Ai funerali delle venti vittime rivisse in lacrime, dopo 22 anni, quel maledetto 9 marzo del 1976.