Nuovo impianto a Pian dei Fiacconi, l'accusa del gestore del rifugio: "Sarà in zona geologicamente pericolosa, una follia"
Il 18 gennaio 2017, alle 16.48, una valanga travolse l’albergo Rigopiano, sulle pendici del Gran Sasso: il bilancio fu drammatico e alla fine (anche a causa dei gravi ritardi nei soccorsi) le vittime furono 29.
A inizio dicembre, una valanga ha travolto il rifugio Pian dei Fiacconi, sulle pendici della Marmolada: il bilancio non è stato drammatico solo perché erano giornate di maltempo, di scarsa affluenza dovuta al Covid e perché la massa di neve si è staccata di sera, quando il rifugio era comunque chiuso.
«Ma potevano esserci decine se non centinaia di morti»: è con questa consapevolezza che Guido Trevisan, il gestore del Pian dei Fiacconi che quel giorno ha perso tutto e che ancora non sa come e cosa potrà ricostruire, manifesta «rabbia e tristezza».
A scatenarla è la volontà dei fratelli Mahlknecht (titolari della azienda del legno gardenese Pema srl e della società Fedaia Marmolada srl. che ha comprato la ex cestovia Graffer) di costruire e inaugurare entro il 2021 la cabinovia che dovrebbe sostituire il vecchio impianto, spostando la stazione di arrivo a monte di quella esistente di 70 metri e traslandola di circa 50. Il tutto, coime ha dichiarato nei giorni scorsi Alex Mahlknecht, «per realizzare un impianto più sicuro e protetto dai fenomeni valanghivi».
Ebbene, Trevisan accusa i Mahlknecht di «cavalcare l’onda della sciagura per rilanciare la costruzione di un nuovo impianto di risalita più grande di prima e con più cemento armato per proteggerlo meglio da valanghe più grandi». «Trovo tutto ciò oltraggioso verso tutti noi - scrive il rifugista -: ricordiamoci che se la valanga fosse scesa in un altro momento avrebbero potuto esserci decine se non centinaia di morti, e non solo al rifugio, visto che la slavina è scesa fino a quota 2200 metri invadendo la pista da sci in più punti. Non scordiamoci, poi, che slavine in pista da sci scendono regolarmente da anni, l’ultima significativa risale a soli 5 anni fa, nel 2015, in cui le protezioni della pista sono state distrutte come fossero fil di ferro».
Trevisan ricorda che i fenomeni valanghivi sono tutt’altro che rari sul versante, anche se - dice - qualcuno ora vuole dare a intendere che si sia trattato di un evento “eccezionale”. Nel 1947 una valanga distrusse il rifugio Pian dei Fiacconi; nel 1958 un’altra sfiorò gli edifici che sorgono nei pressi della diga; nel 1976 fu portata via la stazione di monte e danneggiato ancora il rifugio Pian dei Fiacconi. Se quattro eventi in 70 anni vi sembran pochi, insomma, basta andare avanti così. Anche perché, fa notare il rifugista, tutta la zona di Pian dei Fiacconi e oltre si trova in “zona rossa” secondo le Carte della pericolosità e la Carta di sintesi della pericolosità approvate il 4 settembre 2020 e in vigore dal 2 ottobre 2020: zona rossa, ossia a pericolosità “P4 - Elevata” che nella scala di valutazione è la pericolosità massima.
Guido Trevisan si appella quindi a Comune e Provincia autonoma di Trento, cui spetta «autorizzare eventuali progetti (e quello della nuova cabinovia è in attesa di giudizio, ndr) compatibilmente a sostenibilità ambientale, sostenibilità economica e sicurezza». Ingegnere per l’ambiente e il territorio, l’imprenditore sostiene che «una stazione di un impianto di risalita “pesante” con un mastodontico vomere di cemento armato di protezione dalle valanghe, posizionato su una sommità piuttosto che in un avvallamento o sotto una linea di cresta, crea indubbiamente un impatto ambientale paesaggistico importante, senza considerare inoltre che siamo in territorio Unesco».
Quanto alla sostenibilità economica, il rifugista aggiunge: «Il documento “Verso un turismo sostenibile per l’area della Marmolada», Executive Summary giugno 2006, scritto dal Museo Tridentino di Scienze Naturali in collaborazione con l’università degli studi di Trento riporta che per risultare economicamente conveniente, “il nuovo impianto dovrebbe essere frequentato ogni giorno dell’intera stagione (dicembre-aprile) da 300-450 sciatori, ipotesi che non sembra essere realistica”. E’ poi curioso leggere, nella “Analisi della sciabilità della zona” affidata all’ingegnere Andrea Boghetto (che partecipa all’attuale progettazione del nuovo impianto): “Ipotizzando per il futuro un ottimistico raddoppiamento dei passaggi a seguito del progetto di sviluppo e che il passaggio degli sciatori si distribuisca in ugual modo su tutti gli impianti, si trova un valore medio di 200.000 passaggi per impianto, valore sostanzialmente inferiore al limite di sopravvivenza e sostenibilità economica dell’iniziativa di realizzazione di impianti pesanti”. E ancora: “D’altra parte i vincoli tecnici, normativi e le attuali preferenze della clientela escludono a priori il ricorso a impianti leggeri». Nella analisi si leggono anche «perplessità in particolare per lo sviluppo dell’area del Fedaia versante Trentino, derivanti dal pericolo valanghe e dalle necessarie opere paravalanghe, dalla difficoltà di accesso per sicurezza (valanghe) delle strade che molto frequentemente rende incerto l’affluenza della clientela, dagli elevati costi di costruzione e manutenzione di impianti “pesanti”, dalla necessità di riconsiderare tutte le piste e i sistemi di innevamento artificiale, dall’insufficienza dei parcheggi e delle aree disponibili». Da ingegnere, Trevisan chiede infine «come un tecnico possa firmare la sicurezza di un impianto e ancor di più di una pista in un sito dove basta sfogliare l’archivio provinciale delle valanghe per rabbrividire».