Stefano Waldner, il testimone del Cermis che partecipò al processo negli Stati Uniti
Assistette al tragico schianto e dovette volare in North Carolina. I militari coinvolti vennero assolti. Il 3 febbraio a Cavalese si svolgerà l’ultima commemorazione pubblica delle vittime
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PODCAST La tragedia del 1998 raccontata dalla voce di Mario Cagol (prima parte)
PODCAST La tragedia del 1998 raccontata dalla voce di Mario Cagol (seconda parte)
CAVALESE. Per Stefano Waldner il 3 febbraio 1998 era una giornata come tutte le altre. Lavorava, allora come oggi, nella carrozzeria di Vito Divan a Masi di Cavalese. Stava girando per il paese testando un'auto che aveva da poco sistemato. Giunto al ponte sull'Avisio si ferma. Volge lo sguardo verso sinistra, da dove sta arrivando un velivolo.
Erano tanti, in quegli anni, gli aerei che passavano a bassa quota sulla valle di Fiemme. Era pure un bello spettacolo, da vedere, ma quel giorno cambiò per sempre quella sensazione. In arrivo c'era un aereo militare statunitense, un Grumman EA-6B Prowler della United States Marine Corps, che era partito dalla base aerea di Aviano, in Friuli. Era guidato dal capitano Richard J. Ashby, assistito da altri tre piloti, che quel pomeriggio si dimenticarono della divisa che indossavano e pensarono di divertisti volando a bassa quota, registrando il tutto in un filmato.
Non si accorsero però che dall'Alpe Cermis scendeva - e lo faceva da più di trent'anni - una funivia per portare in quota gli sciatori. L'aereo tranciò il cavo, facendo precipitare la cabina dai suoi 108 metri di altezza e provocando la morte di tutte e venti le persone che erano al suo interno. E così, 22 anni dopo (era il 1976) la rottura della fune portante dell'impianto che aveva causato 42 morti, la tragedia si era ripetuta.
Stefano, allora lei aveva 29 anni. Cosa ricorda di quel giorno?
«Vidi l'aereo tranciare la fune, e la cabina della funivia fare una piroetta».
Qual è stata la sua prima reazione?
«Sono tornato immediatamente in officina. Ho raccontato tutto al mio titolare. Non credeva a ciò che gli dicevo, poi siamo corsi sul posto e ha capito anche lui».
Nel punto dell'impatto cosa vi siete trovati davanti?
«Siamo stati i primi ad arrivare. Le persone si vedevano poco, perché erano nascoste sotto le macerie della cabina. Vedemmo Marcello Vanzo, di Masi di Cavalese, il manovratore della funivia, che dopo l'impatto era stato sbalzato a parecchi metri di distanza. Abitava a un paio di centinaia di metri da casa mia. È stata una scena molto brutta. Successivamente mi è tornata in mente giorno e notte, e ora non posso dimenticarla. Per me, e penso anche per gli altri che hanno vissuto quei momenti terribili, quello è stato un periodo scioccante».
In qualità di vigile del fuoco volontario si è messo subito a disposizione.
«Ho chiamato immediatamente Trento componendo il numero di emergenza. Tornai in officina, mi cambiai e ritornai sul posto. Assieme ai miei colleghi pompieri e ad altre persone rimuovemmo i pezzi della cabina distrutta e recuperammo i corpi. Abbiamo poi fatto un sopralluogo lungo la linea della funivia, per controllare che non ci fossero altre persone coinvolte oppure altri danni».
Cosa ricorda delle giornate successive?
«L'arrivo di giornalisti e televisioni, le udienze a Trento, a cui partecipai, e il telefono che suonava giorno e notte. Fu un periodo molto stressante».
L'anno dopo, per il processo, dovette recarsi negli Stati Uniti per raccontare quello che aveva visto.
«Era il 1999, io ed altre cinque persone della val di Fiemme andammo una settimana a Camp Lejeune, in North Carolina, nella base militare da cui provenivano i piloti che avevano causato la tragedia. Avevamo tutti visto l'aereo passare a bassa quota. Eravamo ospiti in una sorta di albergo che si trovava all'interno della base. Per qualche giorno gli ufficiali ci hanno spiegato quello che avremmo dovuto fare, ma senza nessuna imposizione su cosa dire. Poi c'è stata l'udienza e abbiamo raccontato tutto quello che abbiamo visto».
Cosa ricorda del processo?
«Un po' per l'agitazione, un po' per la lingua inglese, i ricordi non sono chiarissimi. Ricordo che c'erano i due aviatori, quello sì».
Com'è stata quell'esperienza?
«Non capita tutti i giorni di andare negli Stati Uniti, però tutti speravamo in un esito diverso».
Gli aviatori vennero assolti dall'aver causato il disastro, condannati solo per avere distrutto il video del tragico volo. Una ferita che rimane aperta.
«Tutti noi non capiamo come sia stato possibile risolvere in modo così semplice la faccenda. Immagino ci fossero in ballo molti soldi, ma sono cose troppo grandi da capire, per noi».
Oggi Stefano Waldner cosa fa?
«Lavoro nella stessa officina di 25 anni fa, ma non sono più nei pompieri. Ho 54 anni e vivo a Stramentizzo. È normale che mi torni ancora in mente quello che ho visto, ma ormai dopo 25 anni i pensieri sono altri».
Il 3 febbraio a Cavalese si svolgerà l'ultima commemorazione pubblica delle vittime del Cermis. Dopo questa data la memoria verrà coltivata sotto altre, più intime, forme. Per non dimenticare mai quanto successo.