Travolto dalla neve, trova la donna che l’ha salvato: “Mi ha contattato lei, le sarò per sempre grato”
Gabriele Arveda è pronto a rivedere la dottoressa veneziana che ha chiamato i soccorsi: “Quei venti minuti sotto la neve, finché non è arrivato l'elicottero, mi sono sembrati eterni. Riuscivo a respirare solo perché si era creata una bolla"
L'APPELLO "Stavo per morire, cerco chi mi ha salvato"
TRENTO. Aveva lanciato un appello per trovare la persona che lo aveva "salvato", dopo essere stato travolto da una valanga nel gruppo del Catinaccio. «Sono riuscito a trovarla. Ora siamo in contatto, con la promessa di rivederci dopo le festività». Era domenica 10 dicembre dell'anno appena passato, quando Gabriele Arveda, 63enne originario di Reggio Emilia, è rimasto sepolto sotto la neve, travolto da una coltre bianca durante una mattinata all'insegna dello sci alpinismo.
«Quei venti minuti finché non è arrivato l'elicottero, mi sono sembrati eterni. Una persona mi ha aiutato: per questo l'ho cercata per ringraziarla», ha raccontato Gabriele. Il 63enne si trovava da solo, come più volte era successo: lui, amante del Trentino e della montagna, 10 anni fa aveva deciso di prendere una seconda casa a Cavalese. Da esperto conosceva bene quel tragitto che separa il rifugio Passo Principe dal Vajolet, nelle Dolomiti. Ma quella domenica, poco prima delle 12 e 30, un accumulo di neve si è staccato da un pendio, a una quota di circa 2.400 metri, trascinandolo per qualche centinaio di metri.
«È una zona che frequento spesso, un percorso classico per arrivare al rifugio principe - ha precisato -. Quel giorno però erano presenti diversi accumuli e il vento soffiava molto forte. Salendo mi ero accorto che quel traverso era carico di neve infatti come mostra anche la traccia del gps, sono tornato indietro, prendendo un'altra via. Stranamente c'erano poche persone quel giorno nella conca del Vajolet. Di fronte a me avevo una salita di circa 20 metri e ho cominciato ad avviarmi. Ma ad un tratto ho sentito la neve tremare sotto gli sci, ho capito che stava arrivando una valanga. In quel momento l'ho vista davanti ai miei occhi, giungeva silenziosa e inesorabile. Non c'è stato modo di evitarla. Dopo essere stato capovolto a 360 gradi, sono "atterrato" in piedi, con il busto in avanti. Ero completamente sommerso dalla neve, ma riuscivo a respirare perché si era creata una "bolla". Ho iniziato a scavare con una sola mano, l'altra era bloccata e non si muoveva. Soltanto una volta che sono riuscito a riemergere con il busto ho liberato l'altra mano. Ma mi era impossibile staccare gli scarponi dagli sci».
Nel frattempo era passata un'ora circa e il freddo cominciava a farsi sentire. «Ho iniziato a gridare aiuto e una persona, probabilmente uno scialpinista che era nei pressi del rifugio Vajolet mi ha sentito ed è corso a chiamare i soccorsi. Ero sollevato, ma stavo congelando. E solo in quel momento l'adrenalina e la razionalità per riuscire a sopravvivere hanno lasciato il posto alla paura. In quei venti minuti in cui dovevano arrivare i soccorsi ho avuto paura di morire assiderato, stavo ghiacciando: minuti che, finché non è arrivato l'elicottero, mi sono sembrati eterni».
Poi l'arrivo dei soccorritori che, dopo averlo caricato a bordo del velivolo, lo hanno trasportato all'ospedale di Cavalese, dove lo scialpinista ha trascorso la notte, dopo essere arrivato con un principio di ipotermia. Salvo, quindi, quasi per miracolo. La testimonianza era subito rimbalzata sui social, dopo essere stata condivisa dall'Associazione Rifugi del Trentino, che aveva deciso di rilanciare l'appello di Gabriele, alla ricerca di chi lo aveva salvato perché «certi gesti in montagna hanno sempre un grande valore».
«Ti sono e ti sarò per sempre grato. Se qualcuno si riconosce nella persona che ha chiamato i soccorsi ci contatti», aveva scritto in un messaggio. L'appello è stato quindi raccolto prima di Natale. «Mi ha contattato lei - ha concluso - è una dottoressa di Venezia, anche lei frequentatrice della val di Fassa. Quel giorno si trovava con il compagno, con le ciaspole ai piedi. Ha voluto proseguire lei nel percorso, dopo aver visto le mie tracce. È così che mi hanno trovato, salvandomi».