Val Daone, Pierino Mantovani 60 stagioni a malga Bissina
Pierino Mantovani ha concluso la sessantesima stagione ai 1.900 metri di malga Bissina. Mantovani è una leggenda perchè racchiude una storia di fatica e lavoro iniziata il 27 aprile del 1956 quando salì in val Daone per la prima volta, chiamato dal cappellano dei grandi lavori per aprire lo spaccio delle Acli.
A 25 anni Pierino da Bondone (oggi il cavalier Mantovani) aveva già fatto quello che uno «normale» fa in mezza vita. Aveva seguito i genitori nelle peregrinazioni secolari dei bondonesi, sui monti a carbunàr. «Fare il carbone non faceva per me. Così ho aperto un piccolo negozio di frutta e verdura. Ma nel 1948 non arrivava ancora la strada a Bondone».
Quel ragazzo di buona volontà andava a comperare la verdura a Ponte Caffaro, e si sciroppava con la cassetta sulle spalle 3 chilometri fino a Baitoni, prima di arrancare lungo la mulattiera di 5 chilometri che dai 370 metri del lago portava ai 720 di Bondone.
D’inverno il negozietto funzionava, ma d’estate il paese si svuotava: tutti in montagna a fare il carbone. Nel 1952 l’evento: Bondone viene collegato al fondovalle con la strada.
Diciamo una stradina, ma meglio della mulattiera. Non che servisse granché, considerato che di macchine non ce n’erano.
L’unico mezzo motorizzato che la percorse per qualche anno fu l’Ape del Pierino, «comperata con grandi sacrifici e dando l’idea alla gente che fossi ricco, cosa che non era», ricorda Pierino pescando nel pozzo dell’amarezza. Arriviamo al 1956, nel pieno dei grandi lavori: 5.000 operai provenienti dalla Valcamonica e dalla Valsugana, dal Bellunese e dal Piemonte, dalla val Seriana e dalla Calabria, ma anche migranti giudicariesi che ritornavano dalla Svizzera o dalla Germania, fra il ’52 ed il ’62 riempirono la val Daone per costruire dighe e centrali, imbrigliare torrenti e bucare la montagna con le condotte forzate. «Due esercenti di Brescia - rammenta Pierino - avevano costruito uno spaccio a malga Boazzo e uno a malga Bissina (dove ci sono le dighe più imponenti, ndr) per i lavoratori. Dopo due anni decisero di vendere.
Il cappellano del cantiere, don Mario Peder, venne a Bondone per convincerci ad acquistarli, visto che avevamo il circolo Acli. Ci convinse: li acquistammo e trasformammo in patronato Acli, per assistere gli operai, cosa che abbiamo fatto per quattro anni. Fornivamo vino, sigarette e vestiti, ma anche assistenza per gli assegni familiari e per le pratiche di questi poveri cristi venuti da tutta Italia per sfamare le proprie famiglie.
Ricordo questi uomini che cercavano Pierino: mi davano la busta paga (allora si prendevano 35.000 lire) da spedire a casa». Gli si inumidiscono gli occhi quando pensa alla ripulitura della piana di Boazzo, allo scavo della centrale in roccia, alla lunga galleria che da Boazzo porta sopra Cimego. Se lo ascolti, Pierino ti fornisce dati e date: ci potresti scrivere un libro. No, ne ha già scritti lui. A luglio del ’62 la grande diga di Bissina (563 metri di lunghezza, cemento portato da Piacenza, sabbia della tonalite cavata in loco) fu collaudata.
«Nel 1960 i lavori erano praticamente terminati, ma io non volevo tornare a Bondone, anche perché dopo 4 anni i miei posti di lavoro erano stati occupati da altri. Mi venne l’idea di fermarmi con un bar stagionale». E qui bisognerebbe aprire un’altra puntata sui pastori che frequentavano allora Bissina, sui campeggi di padre Marcolini. Fatto sta che dopo 60 anni Pierino è ancora a Bissina, non più con il ristorante, che ha affittato, ma con il bar alla diga. E’ l’ultimo re della «valle dei ginepri» e non ha nessuna intenzione di abdicare.