Quei terreni della Valle di Daone che si trovano nelle mani dei comuni bresciani
La parte alta della valle appartiene a tre amministrazioni della Valcamonica, una storia raccontata da Gianni Poletti. Del caso si interessa anche il consigliere provinciale Alex Marini, che chiede di conoscere lo stato dell’arte della trattativa per la concessione
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VALDAONE. Sulle proprietà di porzioni delle montagne sono stati scritti, e si potrebbero scrivere ancora, molte pagine. Perché non tutti conoscono le radici storiche per cui (per fare un esempio) la Val Genova è una multiproprietà di Comuni e Asuc; così come le motivazioni per cui le Regole di Spinale e Manez da Ragoli arrivano a Campiglio. Queste sono proprietà trentine. Poi c'è pure chi valica i confini. Prendi la Valle di Daone, che nella parte alta appartiene a tre comuni della Valcamonica.
Per parlarne ci fornisce lo spunto un'interrogazione del consigliere provinciale Cinquestelle Alex Marini, che chiede al presidente della Provincia Maurizio Fugatti alcune informazioni: quale sia l'entità delle proprietà dei comuni camuni nella Valle di Daone e la stima al valore di mercato e al valore catastale; lo stato dell'arte delle trattative per la cessione delle proprietà di detti comuni alla Provincia di Trento; se vi siano forme di coordinamento, compartecipazione dei costi o condivisione dei benefici dei comuni bresciani con la Provincia di Trento, con gli enti locali e le società partecipate della Provincia nella gestione del patrimonio immobiliare di proprietà bresciana sul territorio trentino, con particolare riferimento a strade, malghe, pascoli, risorse idriche e foreste della Val di Daone e della Valle di Fumo.
Va detto subito che la riposta non c'è ancora. In compenso, nell'ambito della risposta ad un'altra interrogazione sull'accesso agli atti, Fugatti sostiene di non avere rapporti con i comuni bresciani. Alla prima domanda possiamo rispondere noi con l'aiuto della sindaca Ketty Pellizzari. Intanto i comuni proprietari delle valli di Daone e di Fumo sono tre: Cimbergo, Paspardo e Saviore. In totale possiedono 2.410 ettari, equivalenti a 24,1 chilometri quadrati di territorio, così distribuiti: 908 ettari Paspardo (a malga Bissina), 584 Cimbergo (nella zona di Gelo) e 958 Saviore (dopo Nudole e dopo il bacino di Bissina, fino alla serra, dove ricomincia Daone).
Come detto e come risaputo, dietro c'è sempre la storia. Per saperne di più, Marini prende a prestito gli scritti di Gianni Poletti, lo storico giudicariese scomparso di recente, che saccheggiamo pure noi. Il quale scriveva che «finché non c'era la strada e si doveva andarci a piedi (sulle creste e nei pascoli che separano Chiese e Camonica, ndr), ci si arrivava più facilmente da Cimbergo, Paspardo o Valle di Saviore che dalla Valle del Chiese. Quelli di Rendena vi portavano i loro armenti dalla Valle di San Valentino attraverso il Passo delle Vacche. Gli uomini di Daone però lavorarono e lottarono per occupare tutta la loro valle».
E qui partono i documenti, con il fascino intrigante della storia. «Nel 1457 - scriveva Poletti - gli uomini di Daone acquistarono dai Lodron i fienili di Manón, a metà valle; dai medesimi conti comperarono, nel 1563, tutto il territorio montano della Növa che dal corso del Chiese sale fino al gioiello alpino del Lago Casinei (2.059 metri). (...) Nel 1492, quando Colombo mise piede in America, comperarono da Darè e Iavrè (comunità di Rendena, ndr) i loro diritti in Val di Fumo. I camuni invece ci sono ancora». E lo storico racconta che «"mantengono la proprietà di una decina di malghe, per lo più ridotte a ruderi o trasformate in bivacchi».
E racconta di un referendum consultivo del 2007 a Saviore per dire Sì o No alla vendita dei loro terreni alla Provincia di Trento, che aveva offerto 3 milioni e 700.000 euro. Vinsero i No.C'è storia e c'è tradizione. Quest'ultima racconta che nel 1606 quelli di Saviore salirono in massa alla Casina delle Levade, tagliarono i garretti agli armenti, poi presero i mandriani trentini e li soffocarono nella caldaia del latte. «Cesare Battisti vide sulla porta della malga una croce con l'iscrizione che ricordava il terribile delitto. Oggi non si legge più, è sepolta sotto il mucchio di sassi dell'antica cascina», rivela Poletti.