Viaggio a Zambana Vecchia
«Ci siamo battuti per fermare le ruspe: per gli amministratori dell’epoca Zambana vecchia doveva sparire. C’era anche l’idea di portare qui le fabbriche inquinanti di Trento Nord: quella era la vera frana!». Camillo Pilati, classe 1939, non se n’è mai andato dal paese devastato dai cedimenti della parete est della Paganella degli anni ’55 e ‘56, e ricorda una riunione («ma ce ne furono tante») al magazzino frutta con l’allora presidente delle Provincia Flavio Mengoni. «C’era anche Sandro Boato e fu lui a contattare l’ingegnere Armando Mannino, un luminare nel campo dei consolidamenti rocciosi. Fu così che nacque il progetto per salvare il paese che fu poi accettato anche a Roma, e realizzato alla fine degli anni ’90 grazie a Walter Micheli e Mario Malossini».
Sessant’anni dopo la prima frana - era il 7 settembre 1955 - Zambana Vecchia sta rinascendo. «Oggi in paese abitano 200 persone, “zambanoti”, ma anche gente da fuori che ha trovato qui un posto tranquillo per vivere». La demolizione fu evitata: il nucleo storico dell’abitato che sorgeva a fianco della chiesa non esiste più, ma le case della periferia vengono ristrutturate, e il volto nuovo del paese si sta caratterizzando con colori vivaci, edifici mono o bifamiliari («non casermoni»), giardini ben curati. Certo rimangono ancora tanti spazi da riempire: lungo la via principale si passa accanto ad una stalla, ad un edificio in stile liberty abbandonato, una spianata dove un tempo sorgevano il municipio e l’asilo, una costruzione avviata prima della frana e mai finita.
Sessant’anni sono passati, ma il ricordo è vivido come allora. «Che doveva venire giù si sapeva - dice Camillo Pilati -, la cosa più brutta fu l’inverno tra il ’55 e il ’56: si aspettava con la paura». Il 7 settembre 1955 un boato svegliò gli abitanti: dalla montagna franarono 25 mila metri cubi di roccia e sassi che, coperti di mota, si fermarono nella valletta a monte del paese. Da quel giorno gli abitanti cominciarono a convivere con la paura. Il 25 novembre, in seguito a forti piogge, un enorme blocco di roccia si staccò dalla parete, riversandosi sulla val Manara e minacciando direttamente la case del paese e i suoi 700 abitanti. Vennero giù 50 - 100 mila metri cubi di materiale. «Quella notte saltai dalla finestra e mi aggrappai a una lettiera di “strami” - racconta Camillo - pensavo che l’acqua mi avrebbe portato via, invece fu peggio: respirai tanta polvere cattiva. Fummo tutti sfollati, ma era consentito l’accesso per la cura degli animali e dei campi». Molti zambanoti passarono l’inverno nelle baracche o in alloggi di fortuna. Poi arrivò il peggio: nell’aprile del ’56, in seguito a nuove precipitazioni, una valanga di sassi e ghiaia ricoprì più di metà delle abitazioni. «Ho visto le case spazzate via, i tetti che galleggiavano trascinati dalla furia dell’acqua nelle campagne - ricorda Pilati -. Noi eravamo lì con i pompieri per cercare di salvare il salvabile, la pressione dell’aria era fortissima: mi rifugiai su una collinetta e salvai anche una signora del paese». Nei giorni seguenti vi furono altre frane: restarono in piedi solo la chiesa, la scuola elementare, l’asilo e qualche casa lontana.
Il 19 aprile del ’56 venne dichiarata l’inabitabilità di Zambana Vecchia, e fu avviata la ricostruzione agli Aicheri, su 23 ettari espropriati al Comune di Lavis. «Ma una parte degli abitanti del paese non se ne andò mai - ribatte Camillo Pilati -. E continuò a battersi per salvare il paese: anche l’ingegner Alberto Crespi ci dette una grossa mano presentando il primo studio ingegneristico per demolire il diedro pericolante». Le ruspe furono fermate e nell’ottobre ’93 l’ordinanza fu revocata.
Camillo Pilati dal ’65 abita nella casa (acquistata dalle zie) dove, con la moglie Franca Pedri, ha tenuto aperto dal ’73 fino al 2001 l’unico negozio di alimentari del paese. «Quarant’anni è durato il divieto di non fare lavori - ricorda -; il tetto che faceva acqua da tutte la parti lo abbiamo potuto rifare solo l’anno scorso». «Qui è un paradiso - dice di rimando la moglie Franca - la mattina il sole che illumina la Paganella è uno spettacolo». E poco importa che nei paraggi si aggiri l’orso.