San Giovanni, viaggio nell'incompiuto Centro sanitario vuoto e silenzioso
La domanda delle domande sulla moderna struttura che è stata realizzata e in parte resa operativa da circa un anno sulle macerie del vecchio ospedale San Giovanni di Mezzolombardo è questa: come mai non è stata ancora inaugurata? Può sembrare strano, ma non vi è traccia di politico (né fra chi l’ha voluta nel recente passato, né fra chi si ritrova a gestirla) che smani per mettere la propria faccia accanto a quest’opera costata qualcosa come 25 milioni di euro.
Tra mirabolanti promesse fatte agli abitanti di Mezzolombardo che pretendevano la ricostruzione del «loro» ospedale e protocolli firmati tra Provincia e Comuni, rimasti per larga parte solo su carta, l’attuale San Giovanni è materiale esplosivo dal punto di vista politico, possibilmente da non toccare e comunque da maneggiare con la massima cautela, di sicuro evitando per il momento di scomodare nastri e forbici. La scelta stessa di chiamarlo «Centro sanitario» (che vuol dire tutto e niente) la dice lunga sulla confusione che regna sulla struttura.
Una confusione probabilmente figlia del deficit di approfondimento che ha connotato la fase progettuale dell’opera, prima dal punto di vista di una visione di politica sanitaria provinciale e, a caduta, dal punto di vista delle soluzioni logistiche predisposte. Visitare di persona nei giorni scorsi il «Centro sanitario» San Giovanni, ha corroborato queste sensazioni.
L’impressione di straniamento che si ha camminando lungo i corridoi del nuovo San Giovanni è di trovarsi all’interno di un contenitore semi-vuoto dove abbondano targhe e targhette con indicazioni di ali e spazi dedicati a servizi e ambulatori assortiti, la maggior parte dei quali risulta però desolatamente vuota. E silenziosa.
Ecco, il silenzio assordante è l’elemento che più colpisce in buona parte dell’edificio che peraltro si qualifica per presenza di tecnologie di ultima generazione come le applicazioni domotiche ad oggi però ancora lasciate inattive, o la fitta presenza di monitor nuovi di zecca (una ventina) quasi tutti spenti.
Solo a piano terra dove ci sono gli sportelli dell’accettazione e solo nella prima parte della mattina, quando funziona il servizio prelievi, si riconosce il fermento di una struttura sanitaria in attività.
A piano terra si trovano anche il blocco degli uffici amministrativi dell’Apss, la guardia medica, gli psicologi per i minori, il servizio di neuropsichiatria infantile e psichiatria - che con una scelta di opportunità su cui si potrebbe discutere sono stati posti uno accanto all’altro -, l’ambulatorio di una dottoressa di base e quello secondario di altri tre medici del territorio (altri tre stanze definite ambulatori sono vuote) oltre alla base del servizio trasporto infermi.
Salendo al primo piano si entra nel mondo del silenzio e dell’ordine quasi irreale, rotto solo dalla naturale esuberanza e dai pianti dei bambini negli orari di quello che era il vecchio servizio di consultorio gestito dalle ostetriche o nei giorni delle vaccinazioni e, il lunedì e il mercoledì, dal via vai dei donatori di sangue dell’Avis.
Quattro locali - peraltro privi di sala d’attesa, come del resto l’ambulatorio per le vaccinazioni - sono riservati con tanto di targhette ad ambulatori pediatrici: peccato che siano vuoti visto che l’unico pediatra operante a Mezzolombardo, riceve nel proprio studio privato.
Ufficiale sanitario, uffici della Comunità di Valle e Centro Antidiabetologico (che a brevissimo vedrà andare in pensione il suo responsabile, ed unico medico, dottor Claudio Dalrì) completano la parziale occupazione dei locali del primo piano in stile patchwork.
Al secondo piano è stata attivata la fisioterapia che però dopo il pensionamento a luglio del medico fisiatra, vede operare uno specialista a gettone ed un fisioterapista che, come è facile immaginare, riescono a soddisfare solo le prestazioni più urgenti. Di ieri è poi il trasferimento dalla vecchia palazzina servizi, del servizio odontoiatrico, un anno dopo l’apertura del Centro, a causa dei lavori di adeguamento che si sono dovuti apportare agli ambulatori che non erano predisposti per questa specialità.
L’idea che sul nuovo San Giovanni si sia navigato e si continui a navigare a vista viene rafforzata nel nostro tour al secondo piano, dalla scoperta di due sale predisposte (con i costi connessi) per essere sale operatorie. Ma che ci fanno in una struttura che si era capito fin dalla posa del primo mattone che non avrebbe mai potuto diventare un ospedale? Vallo a sapere. È l’ennesimo e forse più eclatante mistero di questo ibrido sanitario. Sul che farne, si è pensato pragmaticamente di riconvertirle una in ambulatorio dermatologico e l’altra in ambulatorio per la medicina sportiva, pur mantenendo sotto muri e solai la sofisticata impiantistica delle sale operatorie.
La natura originaria di ospedale periferico del San Giovanni, che ospitava degenti, si ritrova solo al terzo piano del nuovo edificio, suddiviso a metà fra l’hospice per le cure palliative e il reparto cure intermedie per pazienti provenienti solitamente dai reparti di geriatria e medicina del Santa Chiara di Trento.
Al termine del nostro viaggio al S.Giovanni, un capitolo a parte lo merita la camera mortuaria: realizzata con tutti i crismi per svolgere la propria funzione, è rimasta di fatto sempre chiusa. Non potendo garantire né il Comune né l’Azienda il servizio di custodia obbligatorio, previsto dal regolamento di polizia mortuaria, le salme delle persone decedute nell’hospice, oltre che di quelle residenti a Mezzolombardo o decedute sul territorio conumunale, sono state provvisoriamente ospitate in una camera adibita a camera mortuaria alla casa di riposo, con i disagi e gli imbarazzi che lasciamo immaginare arrecati ai parenti in cerca della salma del congiunto, rimbalzati da una struttura all’altra. Almeno questo problema sembrerebbe in via di soluzione grazie alla realizzazine un impianto di videosorveglianza che consentirà l’apertura della nuova camera mortuaria.