Maso Franch, a nove mesi dalla chiusura rischia di diventare luogo del degrado
Troppi soldi pubblici spesi perché non si doni nuova vita al complesso, gestito sino al 2 ottobre da Massimo Geusa, ultimo gestore che ha riconsegnato le chiavi a Cooperfidi, proprietaria dal 2010
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LAVIS. Quasi nove mesi sono trascorsi da quando Massimo Geusa, ultimo gestore di Maso Franch, ha riconsegnato le chiavi del complesso a Cooperfidi che ne detiene la proprietà dal 2010 quando lo acquistò dalla Cantina LaVis tramite il fondo di rotazione immobiliare della Provincia.
Era il 2 ottobre scorso e da quel giorno l'edificio, per metà antico maso ristrutturato da cima a fondo per ricavarne camere e per metà costruzione realizzata ex novo che in passato fu anche ristorante stellato, ha perso tutto d'un colpo la sua vitalità. Si badi: nella vasta categoria degli immobili, quelli con vocazione ricettiva sono probabilmente i più soggetti - al pari dei complessi industriali - a subire le ingiurie del tempo che trascorre dal giorno in cui per le ragioni più disparate, chiudono i battenti. E Maso Franch non fa eccezione.
A poco meno di 270 giorni dall'ultima apertura al pubblico, i segni dell'abbandono cominciano a palesarsi. Non dalla strada della val di Cembra, su cui il vasto complesso che voleva essere il fiore all'occhiello della Cantina Sociale LaVis si affaccia. La vista d'insieme che fugacemente si percepisce dal finestrino passando in auto, non tradisce ancora i sintomi della fatiscenza. Basta però fermarsi e gettare lo sguardo più attento sui particolari per comprendere come il tempo che passa senza che la linfa vitale dell'attività umana scorra fra corridoi, sale, scale e terrazze, stia lentamente depositando le proprie scorie.
Alcune foto inviateci da un lettore lo testimoniano. Esse riguardano in particolare l'ampia terrazza coperta che si apre a sud ed ovest del compendio. Una zona, tra l'altro, facilmente raggiungibile seguendo il percorso pedonale presente lungo il fronte est di Maso Franch, quello che dà sul torrente Avisio, eludendo l'ingresso principale chiuso da catena e lucchetti. L'accesso alla veranda coperta è possibile - ci viene spiegato - semplicemente scostando il lembo di una delle "pareti" di Pvc già danneggiata. All'interno vi si trovano depositati lettini a sdraio, sedie, tavoli, sgabelli, nonché ombrelloni per il sole, botti da arredo e posacenere.
Tutto è rigorosamente numerato, segno che è stato oggetto di inventario. Il vetro incrinato di una finestra fa pensare alla pericolosa china che potrebbe prendere il semplice abbandono qualora la struttura fosse fatta oggetto di attenzioni di persone con senso civico poco sviluppato. Ad onor del vero ci viene anche riferito che i biglietti lasciati dal servizio di vigilanza sono presenti in quantità, segno che un'azione di presidio viene esercitata.
Detto questo, a prescindere dai potenziali danneggiamenti di cui Maso Franch potrebbe essere fatto bersaglio, rimane il fatto che piange il cuore vedere una struttura così lasciata a languire. Un malcontento che si inacidisce pensando che per realizzare quel complesso la Cantina Sociale di LaVis, prima di finire con i conti all'aria, spese oltre 6 milioni di euro, ricevendo dalla Provincia un finanziamento di 1,8 milioni di euro.
Del Comitato tecnico per il settore agricolo che nel 2003 diede il benestare a quel contributo, l'unica voce che si levò contraria fu quella del professore universitario Giorgio Daidola, il quale, numeri alla mano, prima di dimettersi dimostrò l'insostenibilità economica dell'investimento. Ma non è solo per il contributo provinciale di 1,8 milioni che l'attenzione di tutti i contribuenti trentini va tenuta alta sul Maso Franch. Vale la pena ricordare, infatti, che nel 2010 esso è stato "acquistato" dalla Provincia mediante Cooperfidi pagando 6,3 milioni per i fabbricati e 1,4 milioni per i terreni, con un'operazione di lease-back che consentì alla Cantina LaVis di continuare a gestire la struttura per sei anni pagando un canone annuo di 220 mila euro.