Val di Non, verbale da 400 mila euro per la terra asportata durante una bonifica
La ditta di scavi avrebbe portato via senza autorizzazione molto più materiale del previsto, la proprietaria del terreno se ne è accorta quando le è arrivata la sanzione, ma il tribunale ha poi accolto il suo ricorso e lei non dovrò pagare la sua parte, perché riconosciuta «priva di cognizioni tecniche»
TRENTO. Ha accettato la proposta di una ditta di scavi di estendere anche alla sua proprietà l'intervento di bonifica, che era in corso sui terreni confinanti: lavori a costo zero, ma in cambio della disponibilità integrale del materiale prelevato. L'impresa, specializzata in lavori edili, avrebbe però asportato senza autorizzazione molta più terra del previsto.
La proprietaria se ne è accorta quando le è arrivata una sanzione da quasi 400mila euro: 185mila per lei e la parte restante per i responsabili dell'intervento (impresa e direttore dei lavori).
La donna ha presentato ricorso e il tribunale le ha dato ragione. Nel verbale il Dipartimento protezione civile, foreste e fauna della Provincia contestava l'asportazione di materiale di scavo in eccesso di ben 35mila metri cubi, di cui 15.900 riferibili al terreno di proprietà della donna.
L'intervento era avvenuto in val di Non nel 2019, in una zona soggetta a vincolo idrogeologico in cui era in corso la trasformazione del bosco in area coltivabile, con autorizzazioni dell'ufficio distrettuale foreste di Cles e del Comitato tecnico forestale. La scoperta dell'illecito era avvenuta a seguito di un sopralluogo dei forestali per la segnalazione della rottura di una tubatura.
Erano stati svolti ulteriori accertamenti, con il coinvolgimento del Servizio geologico della Provincia, al termine dei quali erano state constatate violazioni alla legge provinciale 11 del 2007 sulle autorizzazioni necessarie ai fini del rispetto del vincolo idrogeologico. La sanzione è parametrata a ciascun metro cubo di terreno movimentato, con un conto complessivo di 397.495 euro arrivato all'impresa e anche alla proprietaria del lotto, in quanto responsabile solidale. La donna, quando si era accordata per i lavori, aveva preteso che l'impresa si assumesse l'impegno di operare nel rispetto scrupoloso delle autorizzazioni. Non appena appreso della "sparizione" del materiale, assistita dagli avvocati Marco Fedrizzi e Stefano Ravelli aveva sporto denuncia contro il legale rappresentante della ditta per furto aggravato. Anche se non c'è una data nell'accordo firmato con la ditta, tale scrittura privata è ritenuta valida.
Riguardo alla responsabilità, la giudice Adriana De Tommaso rileva che la proprietaria-committente, che lavora in ambito scolastico, è «pacificamente priva di cognizioni tecniche che avrebbero potuto legittimarla ad ingerirsi ed impartire all'appaltatore prescrizioni e disposizioni sulle modalità di esecuzione delle opere e di vigilare sulla loro osservanza, oltre che sul rispetto delle prescrizioni».
L'impresa, nella veste di appaltatore e dunque di detentore qualificato, ha invece una posizione pari a quella «del titolare di un diritto personale di godimento», essendo stata investita «di un potere diretto, da esercitare nei limiti e termini delle autorizzazioni conseguite». Per questi motivi la giudice Adriana De Tommaso ha annullato l'ordinanza nella parte relativa alla proprietaria del lotto e condannato la Provincia a rifondere le spese di giudizio per oltre 10mila euro. Ma. Vi.