Pergine, abuso in centro: vincere le cause non basta
Sono stati realizzati illegittimamente e devono quindi essere demoliti, il terrapieno e la scala costruiti ormai 10 anni fa in via Rusca 6 (nella foto), per ricavare due posti auto a servizio della p.ed. 2225. Ma, dopo dieci anni di battaglie legali e due sentenze a lui favorevoli, M.G. rischia di dover ancora spendere parecchi soldi per ottenere il riconoscimento del proprio diritto.
È l’esito paradossale della vicenda che ha per protagonista un pensionato 82enne, che ha contestato a tutti i livelli (in Comune, in Provincia e poi nelle aule giudiziarie) le opere sopra citate e si è visto dare ragione prima dalla Corte d’appello di Trento nel 2012, quindi dalla Corte di Cassazione il 15 febbraio 2017.
Il terrapieno-parcheggio alto 1,50 metri e la scala in cemento progettata prima in aderenza e poi a distanza di 15 centimetri dalla proprietà dell’uomo, un edificio contraddistinto dalla p.ed. 291 e sottoposto a tutela artistica, sono dunque abusivi: l’ex operaio aveva denunciato la loro irregolarità già il 16 gennaio 2007, chiedendo al Comune di Pergine una verifica sulla Dia depositata il 28 settembre 2006. Il Comune, con atto della Direzione servizi ai cittadini del 30 gennaio 2007, aveva risposto che «la pratica risulta non interessata da vizi formali e da contrasti normativi e regolamentari», legittimandola.
Ma il 3 settembre 2007 la stessa Direzione aveva emesso un’ordinanza di sospensione di lavori abusivi, rilevando la necessità che la scala «non più in aderenza al fabbricato p.ed. 291, come indicato nella Dia originaria, debba ora rispettare la distanza minima dalla costruzione limitrofa, pari a 3 metri», mentre nella variante alla Dia la traslazione laterale era di 15 cm. Dieci giorni dopo, l’ordinanza veniva però revocata.
Di qui, la decisione di M.G. di ricorrere in giudizio per fermare quello che riteneva un abuso.
Dopo una sentenza di primo grado sfavorevole, la Corte d’appello nel 2012 aveva stabilito «previa disapplicazione dei provvedimenti amministrativi emessi dal Comune di Pergine e dalla Soprintendenza per i Beni archiotettonici della Provincia di Trento, in relazione alle autorizzazioni richieste per l’erezione della costruzione in aderenza alla p.ed. 291», la condanna della committente dei lavori «ad arretrare il terrapieno e la scala fino al rispetto della distanza di metri 3 dall’edificio» tutelato. Condanna che era stata al centro di una interpellanza della lista di minoranza Civic@ (ora al governo) e che è stata appunto confermata in toto dalla Cassazione.
Tutto bene, dunque? Mica tanto, perché nel momento in cui la sentenza è diventata esecutiva e l’avvocato del pensionato, Stefano Pantezzi, ha scritto al Comune di Pergine il 4 luglio scorso chiedendo che emetta una «ordinanza di demolizione di edificio manufatto abusivo», l’ente ha risposto di essere «incompetente», in quanto «il titolo edilizio sotteso ai lavori a suo tempo eseguiti era una Dia - atto del privato e non del Comune -, consolidatosi nel tempo e avverso al quale l’amministrazione non può intervenire in autotutela». Questo seppure la Corte d’appello abbia ritenuto di «disapplicare» - dunque di ritenere invalidi - tutti gli atti amministrativi comunali.
«Evidentemente - osserva M.G. - il Comune si è dimenticato di essere intervenuto eccome, nel caso, visto che su quella Dia emise più di un provvedimento». Per la Direzione pianificazione e gestione del territorio, però, deve essere Gadler a far rispettare la sentenza, rivolgendosi al giudice per una «istanza di esecuzione».
L’avvocato Pantezzi ha promesso ricorso al Tar: la storia non è finita.