Risparmi in diamanti: artigiano perde tutto
Come si dice, oltre al danno c’è anche la beffa. È questa frase che può riassumere, in estrema sintesi, quanto occorso ad uno sfortunato artigiano perginese, finito nella «truffa dei diamanti», com’è stata soprannominata la frode che ha visto i risparmi di centinaia di italiani andare quasi totalmente in fumo.
Questa truffa, per la quale sono ancora in corso indagini e sequestri da parte degli organismi competenti, è emersa qualche anno fa: fu la trasmissione televisiva «Report» la prima a farla venire alla luce. In sostanza, i risparmiatori che si rivolgevano a degli istituti bancari (quelli indagati sono Banco Bpm, Banca Aletti, UniCredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi) per investire qualche gruzzoletto di denaro, molto spesso accumulato dopo anni di risparmi e sacrifici, venivano convinti in modo «parziale, ingannevole e fuorviante», come dicono le carte processuali, ad investire questo denaro acquistando diamanti, «bene rifugio» che non risente di oscillazioni di mercato.
L’acquisto delle pietre avveniva grazie a delle società (Intermarket Diamond Business di Milano, fallita, e la Diamond Private Investment di Roma). E se, di primo acchito, la cosa ha solleticato molti, che si sono fidati di quanto veniva prospettato loro, è emerso poi un vero sistema truffaldino dietro questi investimenti. Per i diamanti venivano prospettati rendimenti annui del 3-4%. Tuttavia, il valore dei diamanti era alla fine pari al 30-50% del prezzo pagato dal cliente. Agli istituti bancari, che si sono subito proclamati innocenti e solo intermediari dell’investimento effettuato dalle due società, la Procura ha contestato invece una complicità che si esplicava attraverso regalie varie e investimenti negli stessi istituti. I profitti illeciti sono stati calcolati nell’ordine di circa 500 milioni di euro, mentre spesso i risparmiatori si sono ritrovati solo con un pugno di mosche in mano.
Così è capitato anche all’artigiano sessantenne di Pergine, di cui non riveliamo il nome per rispettare la sua privacy: dal 2012, a più riprese, attraverso una banca trentina poi confluita in uno dei gruppi sotto inchiesta, ha investito assieme alla figlia, coinvolta in questo progetto, circa 40 mila euro in totale per acquistare 5 pietre.
«Ogni anno - ci racconta - controllavo i rendimenti, tutto filava liscio. Avevo investito tutti i miei risparmi, messi da parte anno dopo anno, grazie a dei sacrifici che costantemente facevo durante il mio lavoro. La prospettiva era quella di arrivare alla pensione con un piccolo tesoretto da parte, per poter vivere degnamente questo periodo della nostra vita».
Le cose però non sono andate come previsto e prospettato: scoperta la truffa, l’artigiano con la sua famiglia ha cercato subito un modo per avere indietro quanto investito. Ma il valore reale delle pietre, ovviamente, al netto delle spese, arriva ad essere poco più di un decimo di quanto investito: «Ci avevano prospettato - continua il racconto - un rendimento costante, ma abbiamo perso quasi tutto».
Dopo i primi, cordiali e distesi contatti con il direttore della filiale trentina, l’artigiano con la sua famiglia viene dirottato alla sede centrale, dove invece la comunicazione è assai più complessa. Arriva in aiuto anche l’Adiconsum: la figlia dell’artigiano riesce ad ottenere quasi immediatamente un risarcimento del 55% del totale investito. Meglio di nulla, verrebbe da dire. Ma il nulla c’è eccome, e tocca proprio all’artigiano: «A me e mia moglie non è stato rimborsato nulla. Ho perso i soldi e non ho visto un centesimo di rimborso. L’unica soluzione sarebbe quella di intentare causa contro la banca, ma ci vogliono soldi, che in questo momento non ho. Vorrei solo capire il perché di questa situazione, perché non posso avere anche io quello che mi spetta».