I perginesi si sono già stancati di possedere il castello? Aumentano i debiti, Andreaus accusa il «sistema»
L’analisi del professore: il bistrò e il ristorante vanno male, «i cuochi bravi scappano a gambe levate», e le società gestionali sono «sempre in mano ai fondatori»
PERGINE. «La mia sensazione è che vi sia una sorta di indifferenza. Quella fiammella di entusiasmo che si cercò di creare nel 2017 forse, ripeto forse, si è spenta. Forse l'operazione che nella mia ingenuità immaginavo inclusiva, viene percepita come esclusiva»: il professor Michele Andreaus, che fu a capo del comitato che avviò il percorso partecipativo per l'acquisto comunitario del castello di Pergine, analizza la situazione del castello di Pergine sia dal punto di vista gestionale che dell'offerta.
I nuovi sottoscrittori, ad esempio, non sono aumentati molto nel corso degli ultimi anni: l'8 agosto 2022 risultavano 886 sottoscrittori con 759.892 euro di donazioni; al 5 giugno 2023 i sottoscrittori erano 889 con 760.192 euro di donazioni; un anno dopo i sottoscrittori sono 902 per 761.662 euro di donazioni.
Nel rendiconto di gestione del bilancio 2023, si nota come l'avanzo di esercizio sia diminuito rispetto all'anno precedente, passando da 34.806 euro a 13.866 euro; se è diminuito il debito verso la Cassa Rurale per il pagamento di altre rate (a fine 2023 ammontava a 1.272.759 euro dagli originari 1.500.000 euro), sono invece aumentati i debiti da 29.625 euro a 69.637 euro (in particolare quelli verso fornitori sono passati da 3.948 euro a 45.332 euro).
Non è comunque mancata la partecipazione agli eventi proposti dalla Fondazione durante tutta l'estate, ed anche se non ci sono ancora numeri ufficiali per quanto riguarda la parte alberghiera, è su quest'aspetto che inizia la riflessione di Andreaus.
A Ca' Stalla ha funzionato un "Veg bistrot", mentre il ristorante a palazzo baronale ha perso gli chef Manuel Merlo e Sofia Omodeo Iuli: «Noto che tutti i cuochi bravi - sottolinea Andreaus - da Daniele Tomasi, a quelli citati, a Fiorenzo Varesco, dopo un po' sono tutti scappati a gambe levate. Ad inizio agosto alcuni amici mi hanno convinto a salire in Ca' Stalla, ma era tristemente chiusa, come il ristorante, di sabato sera, in piena stagione turistica. Chissà perché non si vuole che la parte ricettiva lavori e alimenti la fondazione. L'avviamento che crearono Theo e Verena si è disperso nel giro di pochi anni, ora è una cosa completamente diversa».
Andreaus poi evidenzia come l'assemblea della Fondazione abbia sì rinnovato il suo consiglio direttivo, ora composto da Carmelo Anderle (presidente), Annamaria Azzolini (vicepresidente), Denis Fontanari, Fabio Gerola, Mariano Anderle, Chiara Davini, Nicola Degaudenz, Lisa Pintarelli, Maurizio Odasso, Alberto Cortelletti e Roberto Valcanover. Ma nelle società "operative", ossia la Sviluppo Castelpergine srl e la Castel Pergine srl, i consigli di amministrazione siano composti ancora dai fondatori per così dire "storici": Carmelo Anderle presidente, Massimo Oss vicepresidente con deleghe operative, Manuela Dalmeri, Silvio Casagrande e Denis Fontanari consiglieri. «Avranno fatto le loro valutazioni - commenta Andreaus - ed avranno ritenuto opportuno tenere tutto come stava. In fondo, squadra che vince, non si cambia».
Il professore, infine racconta per la prima volta cosa accadde all'alba della sua "cacciata" dall'allora comitato: «A settembre 2017 la Provincia - conclude - fece una legge per la valorizzazione di beni storici, che fu il sostegno pubblico all'operazione. A fine ottobre condussi l'ultima trattativa con la precedente proprietà, dove riuscii a tagliare ancora un milione, arrivando a 3,8 milioni per castello e azienda. A quel punto la Cassa Rurale di fatto si tirò indietro, e il comitato si autoconvocò: ho ancora l'sms che un membro del comitato mi girò ad insaputa degli altri, che diceva "ci vediamo domani, non dite niente a Michele", e il giorno dopo venni sfiduciato. Ad oggi ancora nessuno si è mai degnato di spiegarmi il perché. Tra l'altro diciamo che subii un processo sommario, con relativa condanna, senza che io conoscessi né le "imputazioni", né la possibilità di difendermi. Diciamo un concetto di democrazia e di etica un po' "nord-coreano". La mia sensazione fu quella di essere considerato dalla Cassa Rurale e dagli altri membri del comitato l'utile idiota: servivo per la raccolta fondi, per i rapporti con la Provincia e per la trattativa. Fatto il mio compito, non servivo più. Forse dava fastidio la mia indipendenza dal sistema di potere perginese».