Paura e danni sul Sarca: esondazioni e allagamenti accuse alla diga di Ponte Pià
Sarca, abbiamo un problema: due giorni di pioggia intensa, ed ore di paura vissute sabato da mattina a sera per l’incredibile piena del Sarca, quando il fiume in poche ore (da mezzanotte alle tre del pomeriggio) ha quintuplicato la sua altezza passando dal metro registrato nella notte tra venerdì e sabato ai 5,41 metri di sabato pomeriggio. Ed è la seconda volte in poche settimane.
Un’escalation di cui neppure gli uomini della Protezione civile hanno memoria, annunciata solo dall’altrettanto repentino innalzarsi della portata registrato già a monte, in Val Rendena e poi a Ponte Arche e Sarca prima che la massa d’acqua arrivasse in Busa travolgendo le campagne di Pietramurata, i vigneti attorno al Ponte Romano di Ceniga, allagando strade, giardini, ciclabili arcensi, entrando nelle case più vicine all’argine di via Fitta ad Arco, dove ancora ieri mattina la gente era al lavoro con scope e rastrelli per ripulire il possibile, per togliere il fango dai muri e prepararsi ad ogni altra evenienza.
I danni maggiori il Sarca sabato li ha fatti proprio tra Dro ed Arco. Più a valle è esondato - ma questo accade più spesso - nelle campagne di Pratosaiano, ha lambito la ciclabile per Torbole, ha spinto con incredibile impeto tonnellate di tronchi, rami, detriti nel Garda allargando a dismisura la sua foce.
Dopo la paura arriva la rabbia, come spesso accade di fronte a calamità di questa natura.
Rabbia comprensibile, perché l’ultima grande piena del Sarca era appena di fine agosto, perché già allora l’amministrazione comunale aveva chiesto interventi e chiarimenti per capire come mai il Sarca faccia sempre più paura e si alzi di così tanto in così poco tempo.
Una gestione non oculata della diga di Ponte Pià? Precipitazioni straordinarie? Il greto del fiume che da troppo tempo non viene dragato e si alzato pericolosamente? Forse, per spiegare un evento come non se non sono mai visti nella storia altogardesana degli ultimi decenni, bisogna pensare anche ad una somma di più elementi.
«Quel che è certo - diceva sabato il sindaco Betta - è che alle 6 del mattino ci hanno avvisto che qualcosa sarebbe successo, e che a mezzogiorno eravamo invece di fronte a un’emergenza mai vista. Le cause? Certamente il greto del fiume si è alzato, ci sono piante da tagliare sugli argini, interventi rallentati dalle proteste, dai comitati che si sono opposti oltre che dalla burocrazia. Mettiamoci anche fenomeni eccezionali, ma la certezza è che manca la comunicazione: non ho sentito nessuno dei servizi provinciali preposti, nessuno ha chiamato il sindaco di una città dove il fiume ha esondato. Ai tempi di Mellarini l’assessore alla protezione civile sarebbe arrivato di corsa e sarebbe rimasto qui tutto il giorno. Fugatti ha trovato il tempo di fare campagna elettorale al mercato l’altro giorno, non di fare una telefonata a un sindaco in emergenza».
Betta ha firmato il 10 settembre una lettera in cui chiedeva verifiche sull’assetto idrodinamico del Sarca: «Le portate raggiunte dal fiume a fine agosto come sabato sono inferiori a quelle che riusciva a smaltire senza esondare vent’anni fa...».
Da parte loro i Bacini Montani già sabato facevano sapere che nulla di straordinario è accaduto a Ponte Pià e che l’esondazione del Sarca non può dipendere dalla gestione dell’impianto idroelettrico.
L’idea, però, che tutto si possa ricondurre a fenomeni meterologici straordinari lascia perplessi gli arcensi e non solo: ha piuvuto qualche ora, forse un giorno e mezzo, non per una settimana come accaduto cento altre volte nell’ultimo secolo senza che il fiume uscisse per questo dagli argini.
La risposta può essere proprio nella somma di fattori, almeno un paio dei quali si possono e si devono gestire e prevenire con interventi non più procrastinabili, se non vogliamo che il Sarca torni a bussare alle porte di casa dopo ogni giornata di pioggia. In autunno capita.