Sarca: contro le alluvioni manca un vero piano del rischio, dice l'ingegnere dei fiumi
«Manca un serio piano di bacino del fiume Sarca, c’è in tutta Italia per tutti i fiumi ma in Trentino no. Non c’è un piano del rischio vero. Eppure - dice Giuliano Trentini - sarebbe indispensabile per un’organizzazione corretta ed equilibrata del corso del fiume; anche perché fare “tabula rasa” solo dopo le esondazioni e non coordinare gli interventi nel tempo, non ha molto senso». È l’opinione dell’ingegnere ambientale Giuliano Trentini, già coordinatore del master plan del Parco fluviale della Sarca nel 2010, dal quale poi nacque la Rete delle riserve; ora Trentini è anche vicepresidente del Cirf, Centro italiano riqualificazione fluviale.
Il corso della Sarca alla Moletta di Arco, ma anche a Pratosaiano e verso Ceniga, era un paradiso terrestre. Alla Moletta centinaia di arcensi e abitanti dell’Alto Garda sono soliti recarsi in estate per prendere il sole e il fresco, per evitare gli affollamenti tipo Rimini delle spiagge del Garda, e in primavera e autunno per riposarsi e passeggiare in un’oasi naturalistica unica.
È stata fatta «tabula rasa» nell’alveo del Sarca, distrutto un ecosistema e naturale. È questa l’unica via per fare sicurezza idraulica?
«Il problema oggettivo è trovare un equilibrio. È vero che il Sarca è stato artificializzato, canalizzato e alterate le portate, altrimenti con il corso normale del fiume le piante non crescerebbero al suo interno ma attorno nel corridoio naturale».
E dunque?
«Il problema è complesso. L’ultimo intervento di taglio è stato fatto 10 anni fa, al ponte della Sarca; anche lì a seguito di una piena che aveva sradicato la vegetazione. Se mi dici che la Sarca ha bisogno di star così come un canale, perché l’intervento me lo fai dopo che la piena c’è stata? Se serve che stia in quelle condizioni, ma lo devi dimostrare con un po’ di conti, allora lo devi gestire perché in quelle condizioni ci rimanga e se c’è da gestire va gestito».
Allora perché fare «tabula rasa»?
«Col Cirf da anni spingiamo in tutta Italia perché i corsi d’acqua vengano gestiti con piani di gestione. Devi programmare, sapere che quel corso d’acqua tratto per tratto ha quelle esigenze, sapere che servono quei tipi di intervento... e tu ente pubblico devi trovare le risorse per gestire e fare questi interventi in via ordinaria e non in via straordinaria; allora puoi trovare un equilibrio».
La vegetazione in alveo va lasciata o tolta?
«Per come è la Sarca, per dove stanno le sponde adesso, ci può stare che non possa essere compatibile tutta quella vegetazione nell’alveo ma non mi si può dire che debba rimanere nudo: ci sarà un punto d’equilibrio tra esigenze di un minimo di naturalità e di contenimento del rischio di alluvioni entro limiti accettabili. Per trovarlo devi valutare la situazione oggettivamente e gestire di conseguenza. Non puoi intervenire una volta ogni dieci anni».
La tabula rasa comporta problemi anche all’habitat di flora e fauna?
«Quando tagli tutto fai molto più danno di un taglio selettivo, ogni 4 o 5 anni. Oggi ad esempio distruggi la fauna, uccelli e altro, che si crea un suo piccolo ecosistema in quel bosco o in quel canneto. Devi definire gli obiettivi: chiederti ma il taglio della vegetazione risolve il problema? Ma anche, è la vegetazione il problema? I fiumi escono, è inevitabile; devi stabilire l’accettabilità dei tempi di ritorno (la probabilità con cui può avvenire una piena); se esonda con un tempo di ritorno di 150/100 anni è normale; se è ogni 30, forse c’è un problema».
Il tempo di ritorno è 10 anni allora non va bene?
«È più complesso il conto, si tratta di statistiche: può uscire anche tre volte in un anno e dopo niente per un secolo. Se calcoliamo che c’è un rischio di esondazione troppo frequente; allora vediamo se si allaga un bosco o se le case».
Ecco, le case allagate.
«Il problema è che noi in Trentino - per la mal interpretata autonomia e lo dico da trentino - noi ci siamo tenuti fuori dalla legge nazionale che prevede la pianificazione di bacino (legge 183 del 1989)».
Non c’è un piano di bacino?
«Nella seconda metà degli anni Novanta, l’Autorità di bacino per il Po, e la Sarca è nel bacino del Po, ha fatto su tutti i principali corsi d’acqua la pianificazione, gli studi idraulici, hanno pianificato gli interventi, hanno definito la situazione per capire quali erano le aree allagabili vincolandole. Il Trentino ad oggi ancora, sulla Sarca, non ha un piano del rischio vero. Un piano basato sulla modellistica, che definisca quali sono le aree esondabili, con quale tempo di ritorno, intensità e così via».
Un Piano del rischio servirebbe.
«Con un piano del rischio alluvioni, le aree esondabili sono vincolate e non edificabili, in assenza di un piano come questo può anche essere successo che si sia costruito là dove non andava fatto. Questo problema bisogna porlo. Sull’Adige un piano rischio alluvioni c’è, sulla Sarca no. Il Piano provinciale utilizzazione acque pubbliche per la Sarca non è sufficiente perché non è basato sulla modellistica idraulica adeguata. O uso il territorio per coltivare e costruire o lo lascio per il fiume, il tema fondamentale è questo; tema che il Trentino non vuole affrontare, mentre a Bolzano lo stanno affrontando da anni: demolire opere, allargare alvei... e non sono gli ambientalisti ma l’agenzia della Protezione civile provinciale. Li abbiamo premiati nel 2018 per la riqualificazione del rio Mareta. Questo in Trentino non lo si vuole capire».
In conclusione cosa serve?
«Fare una seria mappatura del rischio: dalle Marocche al lago. E dove ci siano dei problemi sapere che per ridurre il rischio alzare argini non è l’unica soluzione; soluzione è anche togliere qualcosa, demolire, delocalizzare; anche lavori per rendere meno vulnerabili edifici esposti alle esondazioni... c’è un ventaglio ampio di soluzioni tecniche. In Europa fanno così. E non può esser il tecnico che arriva dall’alto ma devi coinvolgere chi vive sul territorio. Se no, ti trovi sempre lì, a fare ”tabula rasa”».