Andrea Dionisi, il battito del suo cuore è arrivato fino a Boston
Dionisi, 29enne di Riva, è cresciuto tra le fila del Corpo Bandistico rivano. Dopo aver conquistato due volte il Premio Nazionale delle Arti, ha vinto la borsa di studio per accedere al Barklee College of Music di Boston (Usa), prestigioso istituto universitario nel quale oggi lavora e frequenta l’ultimo semestre
RIVA DEL GARDA. Qualcuno viaggia per arrivare, qualcuno invece trascorre la vita a esplorare tutte le dimensioni di sé per non sentirsi mai arrivato. È il caso di Andrea Dionisi, batterista di 29 anni che oggi frequenta e lavora al Berklee College of Music di Boston, negli Stati Uniti.
Mossi i primi passi nel Corpo Bandistico di Riva, dove iniziò a suonare la batteria all’età di 8 anni, rimase affascinato dalla realtà bandistica ma anche dalle differenti strade della musica. Durante il primo anno liceale formò una band rock con un amico; allora, la musica occupava solo uno spazio extra scolastico. Negli anni, i numerosi incontri e le scelte fatte lo hanno portato a vincere due volte il Premio Nazionale delle Arti, rivolto ai Conservatori e alle Accademie d’Italia. Amante delle influenze musicali travolgenti e lontane dalla superficialità, cerca di intrecciare gli impegni personali a quelli lavorativi suonando con due gruppi - il locale e pop cantautorale «ZeroMantra» con gli amici di una vita e l’internazionale «Electric Trio» con i colleghi della Berklee.
Cosa provi quando suoni la batteria?
«La percussione e la voce sono gli strumenti che permettono di trasferire la tua arte nella maniera più genuina possibile. Mi lascia una sensazione di libertà, la possibilità di esprimere me stesso e comunicare al pubblico il mio suono. Sono stato conquistato dalla componente tribale di questo strumento, sto studiando le origini della batteria e del jazz nella cultura afro-americana».
Quando hai sentito di voler dedicare più tempo alla musica?
«Terminato l’indirizzo scientifico al Liceo Maffei mi sono avvicinato al Conservatorio. Sentivo di voler approfondire la mia passione, avendo sempre suonato senza sperimentare nuove vie. Un giorno, per pura casualità, trovai un corso di Stefano Pisetta e, nel leggere il suo nome, pensai potesse essere il “mio” posto. Mi iscrissi così al Conservatorio, ma anche alla facoltà di ingegneria, il mio sogno sin da bambino. A poco a poco però, la musica prese più di un semplice piede nella mia vita. Durante il Conservatorio incontrai altri tre ragazzi: Matteo Abatti, Matteo Valle e Manuel Castellini. Il nostro docente mi parlò del Premio Nazionale delle Arti, una competizione tra i conservatori d’Italia che nel 2015 venne dedicato a Claudio Abbado, dandomi il compito di formare una band per partecipare. Colsi la palla al balzo e chiesi a loro tre di dare vita a una nuova armonia. Inaspettatamente, il primo premio arrivò tra le nostre mani. Il nostro commento? “Ok, qualcosa di buono lo stiamo facendo”. Il gruppo “ZeroMantra” è fondamentale per la mia creatività».
Il premio di Pescara non è l’unico vinto…
«Esatto, abbiamo vinto il premio anche nel 2017, dedicato a Pino Daniele. Quella vittoria ci spinse a realizzare un disco con i nostri brani originali, abbiamo suonato in giro per guadagnare il salvadanaio necessario! Il disco è uscito durante il Covid».
Non ti sei fatto sfuggire neppure il ruolo di insegnante, vero?
«Dopo il primo anno e mezzo di Conservatorio lasciai la facoltà di ingegneria per la musica. La Banda di Riva mi aveva chiesto di lavorare come docente di percussioni e batteria. Insegnare mi ha permesso di notare gli aspetti della vita da un’altra prospettiva, osservare un allievo significa specchiarsi anche nei propri problemi. Sono arrivato ad avere 35 allievi, prima dell’America».
Come hai saputo del Berklee College di Boston?
«Durante gli anni di insegnamento mi iscrissi al biennio di composizione pop e, in parallelo, a un corso di funk-fusion a Milano, ottenendo il diploma. Nel milanese mi resi conto di quanto i batteristi che mi circondavano avessero tra le mani un’esperienza inestimabile e degli orizzonti più ampi. Mi stimolò e presi alla lettera l’opzione dataci da un docente, ovvero vivere un mese estivo nel 2019 nella prestigiosa scuola di musica contemporanea a Boston. L’istituto vale da biglietto da visita e ricordo di essere rimasto sbalordito dall’organizzazione: concerti a qualsiasi ora del giorno, l’imbarazzo della scelta. Venuto a sapere della possibilità di fare un’audizione per alcune borse di studio della Berklee, mi iscrissi tra 1.200 aspiranti. Il giorno in cui nel teatro scolastico lessi il mio nome sul maxi schermo tra i primi 20 della selezione, con borsa da 30 mila euro, rimasi pietrificato! Non sapevo cosa fare, avevo i miei allievi a Riva, la band, i concerti programmati. Un’occasione da non perdere, ma i miei alunni? Dopo un anno e mezzo di pandemia scelsi di partire. A gennaio 2021 arrivai alla Berklee. Al momento sto frequentando l’ultimo semestre, dopodiché otterrò la laurea».
Qual è il valore aggiunto della Berklee nel tuo percorso?
«L’internazionalità di chi la frequenta, ho suonato con una del Nepal, un ragazzo del Giappone. Il mio focus resta il jazz, mai approfondito in Italia. Alla Berklee lavoro, oltre alla vita da studente: accompagnare i cantanti nelle sessioni ritmiche, sono finito anche a suonare per alcuni matrimoni di americani benestanti. Quest’estate ho portato tutti i ragazzi che vi hanno studiato nel cuore rivano e organizzato il Music Riva Festival. Ho suonato anche al Garda Jazz Festival, poi a Firenze e a Berlino. Vorrei fare tutte le cose con la massima umiltà possibile, preferisco stare con i piedi per terra. Non mi interessa arrivare da qualche parte, sto studiando per il piacere che mi dà. Ho sempre gli occhi di quel bambino che a otto anni decise di imparare».