Nuove promesse, Stefano D’Agostino: «Sul campo da tennis anche lezioni di vita»
Arcense e quasi ventenne, vive e si allena a Vicenza da tre anni. Nell’estate 2022 il suo primo punto Atp in Slovenia: «In partita sei tu, nudo, ad affrontare di petto i problemi. L’ho sempre trovato responsabilizzante, perché non puoi scaricare la colpa su qualcun altro quando qualcosa non va»
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ARCO. Tempo, pazienza e determinazione psicofisica sono gli ingredienti che fanno del tennis un bilanciere di coraggio e grinta. Qualcuno però non sa quanto fegato sia richiesto per sconfiggere l'ansia da prestazione, quell'occasione che ti vuole sempre pronto, sia tu scattante sulla terra rossa oppure sul cemento, al riparo dal sole.
La consapevolezza di quanto la mente è disposta a lasciare rappresenta per un tennista la vera partita da conquistare: Stefano D'Agostino, che quest'anno compirà 20 anni, lo ha capito sin da piccolo. Oggi, dal 1422°posto del ranking mondiale dell'Atp maschile individuale, non ha mai smesso di puntare in alto rispettando in primis i sacrifici del passato. Arcense di nascita, ha vissuto nell'Alto Garda sino a 16 anni, per poi trasferirsi a Brescia e in seguito a Vicenza. Lì, ha messo radici da tre anni per essere allenato da Massimo Sartori, coach ventennale di Andreas Seppi.
Terminate le scuole medie a Prabi, ha frequentato i primi due anni all'Istituto Buonarroti di Trento, optando poi per un percorso di specializzazione privato: le video-lezioni online gli hanno consentito di allenarsi e continuare gli studi. Di torneo in torneo nell'estate 2022, a Radomlje, è arrivato il primo punto Atp e, con esso, l'avvio di un percorso da promessa.
In che modo ti sei avvicinato al tennis?
«La maggior parte delle persone inizia a giocare perché spinto dai genitori oppure dal proprio gruppo di amici, invece la mia "prima volta" è stata decisamente particolare. Mi trovavo a Verona, mia sorella stava disputando una partita di basket (che tra l'altro perse). In città vidi gli stand di tutte le discipline sportive per la Festa dello Sport, così provai a fare qualche tiro a tennis. Il maestro veronese lì presente mi disse di cominciare, avevo sei anni. Mio padre aveva giocato da ragazzo, prima di lui anche mio nonno, ma mai avevo vagliato la possibilità di diventare un tennista. Quell'evento è stato determinante: ora sono un amante del "dritto", per me rasenta la perfezione».
Scegliere uno sport individuale ha influito sulla tua vita relazionale?
«Inizialmente no, giocavo soltanto due volte a settimana e lo consideravo un hobby, puro divertimento, non ancora una passione agonistica. Compiuti i 9 anni ho cominciato ad allenarmi a Mori: prendevo l'autobus da solo per praticarlo tre volte a settimana. Il gruppetto di amici d'infanzia si è così modificato: distanziandomi dalle abitudini di un bambino di quell'età, che va al parco giochi e fa altro, è stato inevitabile. Con questo sport però ne ho trovati tanti altri fantastici, sebbene sia un'attività individuale capace di farti crescere tanto e in fretta, permette di trovare persone altrettanto mature a dispetto di quanto direbbe l'anagrafe. Oggi posso dire di essere circondato da amicizie stupende».
Quale valore racchiude per te questa disciplina?
«Il tennis in generale è uno degli sport che mette più alla prova una persona nel suo essere, a tratti è tremendo. Non esiste il time-out, non puoi fermarti un secondo: niente cambio, niente squadra. Sei tu, nudo in mezzo al campo, pronto ad affrontare di petto i problemi che ti si pongono. L'ho sempre trovato responsabilizzante, perché non puoi scaricare la colpa su qualcun altro quando qualcosa non va. Succede ciò che hai fatto accadere tu, non esiste nulla di casuale o fortuito. Al di là dell'aspetto tecnico, nella vita quotidiana diventi una persona più attenta e coscienziosa, comprensiva e misurata. Non avendo alle spalle una società che organizza trasferte, prende nota dei costi o decide chi siano gli allenatori adatti al tuo stile di gioco, impari a gestire una miriade di situazioni e, con esse, ad organizzare la tua vita».
Quando ti sei accorto di avere mosso i primi passi verso un'effettiva carriera?
«Relativamente tardi. A livello regionale, non rientravo tra i migliori ragazzini del tennis settentrionale. Compiuti i 13 anni però è stata sufficiente un'estate per ritrovarmi a settembre cresciuto di dieci centimetri in altezza. Tornato a competere mi sono sentito più atletico, ricordo bene la sensazione: mi sono snellito e sono diventato più competitivo, fiducioso verso me stesso e le mie potenzialità. Ho compreso così di essere in grado di giocare per vincere, anche grazie alle partite disputate contro i migliori. Eccomi d'un tratto essere il pesce fuori dall'acqua, in quella cerchia di adolescenti che da anni si conoscevano e sfidavano tra loro. Vedere i frutti del lavoro di tanti anni mi ha fatto sentire più connesso a questo sport e durante il primo anno di Under 16 ho raggiunto la piena consapevolezza. Percepivo gli sguardi dei tecnici sui miei colpi, gli stessi preparatori che hanno deciso di convocarmi al Centro di preparazione olimpica Tirrenia di Pisa per allenarmi con i tennisti più forti d'Italia».
A quali atleti ti ispiri?
«Da bambino, un grandissimo riferimento per classe, persona e stile era Roger Federer. Crescendo anche a livello umano ho ammirato Rafael Nadal. Per i più giovani talenti, Jannik Sinner e Carlos Alcaraz: oltre ad essere promettenti, sono degli esempi sul piano comportamentale e disciplinare».
Qual è la tua ambizione, dentro e fuori dal campo?
«Dentro al campo diventare un giocatore affermato, giocare tutti gli slam e confrontarmi con i tennisti più affermati allo scopo di capire il mio limite. Fuori, vorrei continuare a crescere come persona e fare in modo di restare ancorato a questo mondo, ne sono follemente innamorato. Vorrei diventare grazie al tennis la versione migliore di me stesso, aiutando gli altri ad inseguire i propri sogni».
Come lo racconteresti a un bambino?
«La bellezza di questo sport è l'emozione più grande, se potessi farei capire ai più piccoli tale valore: non farei pesare la tecnica, ma amare il gioco. Il fattore da promessa arriva dopo, con il tempo. Comunque vada, ti rende un persona più forte, risoluta e determinata».