Da Arco alla Svizzera, il bartender Francesco Nichelatti: «Il cocktail è un’arte»
Arcense di 27 anni, è supervisor del bar in un 5 Stelle Luxury sulle Alpi svizzere: «Ho iniziato aiutando la mia famiglia dopo le lezioni all’Alberghiero di Riva. Ho servito capi di Stato, principi e celebrità e mi emoziona poter essere parte della loro giornata. Ai ragazzi dico: mai arrendersi»
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ARCO. Il mix di sensazioni che produce la passione ha sempre e soltanto un fine: farci sentire vivi, qualunque sia la bevanda con cui la idratiamo. Per Francesco Nichelatti, 27enne di Arco che ora vive in Svizzera da tre anni, nove mesi all'anno, il drink perfetto è la sua professione di bartender: figura professionale che, rispetto al barista tradizionale, è specializzato nella miscelazione e in tecniche di preparazione cocktail, senza remore di fronte a un flusso continuo di clienti.
Dopo aver frequentato il «CFP Enaip» di Riva del Garda, completando il terzo e il quarto anno in ambito alberghiero, ha lavorato nelle più prestigiose attività ricettive d'Italia. Ora, tra le Alpi svizzere, è supervisore del bar presso «The Alpina Gstaad», un Cinque Stelle Luxury dove i tramonti sembrano non scendere mai dietro alle cime delle montagne.
In che modo ha influito la formazione ricevuta?
«Grazie all'alberghiero di Varone ho avuto la possibilità di seguire non solo un percorso stimolante sulle nozioni base della ristorazione, ma l'apporto degli stage che la scuola permette di svolgere è stato fondamentale: imparare sul campo, conoscere molte aziende e lavorare in posti rinomati significa crescere».
Quando hai concretizzato l'aspirazione di essere un bartender?
«Ho iniziato la mia carriera ancora studente, nel ristorante dei miei genitori nel centro di Arco. Finite le lezioni aiutavo la mia famiglia, tutti i giorni. Con il passare del tempo, dentro me è nato qualcosa, comprendendo che forse era proprio quella la strada da seguire per il mio futuro. Dietro al bancone stavo bene, mi piaceva parlare con la gente, discutere del più e del meno. Sentivo di aver fatto qualcosa non solo per gli altri, soprattutto per me stesso».
Quali esperienze ti hanno segnato in questi anni?
«Ne conservo centinaia nel mio bagaglio. Ho avuto la fortuna di lavorare in diverse strutture italiane tra le più ricercate a livello internazionale, partendo dal lago di Garda arrivando a Venezia, sino alle sponde del lago di Como e, ora, tra le Alpi Svizzere. Ho avuto l'onore di affiancare alcuni dei più grandi maestri della ristorazione italiana e non: mi hanno insegnato prima l'educazione, poi il mestiere. Ho avuto l'opportunità di servire principi, principesse, capi di Stato, calciatori, celebrità, attori... Mi emoziona poter essere parte della loro giornata, sopratutto quando si tratta di persone viste solo in televisione e si mostrano diverse, più semplici. Ciascuna esperienza mi ha dato tanto: nella vita si fanno mille errori ed è con essi che si matura».
Cosa significa essere un bartender oggi, periodo in cui tale figura è tornata alla ribalta grazie alla comunicazione mediatizzata?
«È importante capire ciò che ognuno vuole raggiungere, in qualunque professione. Il bartendering secondo me è il lavoro più bello del mondo: sempre in contatto con la gente, che puoi rendere felice. Non manca chi lo prende sottogamba. Alcune serate interminabili e le persone non capiscono che siamo tali e quali a loro, non schiavi. Se potessi, vieterei i cellulari in questi luoghi dove si dovrebbe trascorrere del tempo con amici e famiglia, non di fronte a uno schermo. Passione e impegno, ecco come descriverei quello che faccio. In Svizzera sono il supervisor al Bar presso The Alpina Gstaad, un posto incantevole innamorarsi del tramonto è inevitabile. Negli anni abbiamo formato un team preparato, ci si rispetta e supporta l'un l'altro. In genere mi occupo del cliente, dall'istante in cui varca la soglia, curando l'intero servizio, sala compresa».
A chi critica dicendo "riempi solo dei bicchieri, sai che fatica", cosa rispondi?
«Non sa cosa si perde. Dietro ad ogni bicchiere servito c'è un impegno che nemmeno si immagina: ricerca e conoscenza dei prodotti, tendenze da seguire, dosaggi...».
Qual è il cocktail che più ti riesce preparare?
«Il Paloma! Fresco, estivo, rosato grazie al pompelmo. Di carattere, perfetto per una persona passionale e piena di energia».
Hai mai incontrato difficoltà?
«In questi dieci anni ne ho incontrate parecchie, specie in fase adolescenziale. Stare lontano dalla famiglia e dagli amici per otto o nove mesi è stato arduo. Tra pianti e voglia di mollare tutto, mi sono focalizzato sull'importanza del dare una risposta alla domanda: "che valore ha la mia passione?" La risposta è venuta, con il tempo: desiderio di crescere, sperimentare, fare il salto di qualità ed essere migliore. L'incontro con persone con cui condividere l'esperienza è stato decisivo così, tornando a casa, ho imparato a godermi le sensazioni indescrivibili che prima vivevo con ansia, come abbracciare mamma, papà e la mia sorellina. Oggi so su quale treno salire e dove arrivare».
Perché hai deciso di accettare un'opportunità all'estero?
«Per crescita professionale, per conoscere nuove culture, una nuova lingua, nuove sfide. Come detto, non è semplice lasciare l'ambiente che ti ha visto diventare adulto, ma uscire dalla propria zona di comfort crea persone mature e consapevoli. Noi giovani dobbiamo tentare, partire, andare alla scoperta del mondo, senza dimenticare il valore e il sapore di casa».
Quali differenze hai notato nell'ambito dell'accoglienza e della ristorazione, tra Italia e Svizzera?
«Di fatto gli italiani hanno nel Dna la propensione per l'ospitalità, un modo di fare che sa di arte e ci distingue dal resto del mondo. L'ospitalità si associa alla generosità, al piacere di condividere il proprio benessere con gli altri».
Quali sono ora i tuoi obiettivi?
«Continuerò a perseguire l'esigenza di approfondire le mie conoscenze e le mie competenze e chi lo sa, un domani potrei coronare il mio sogno che, ovviamente, non ti posso svelare.. altrimenti non si avvera! Con la determinazione e l'entusiasmo messi fino ad ora sono certo di potermi rialzare ad ogni caduta».
Hai dei timori?
«Sì, non mancano: questo lavoro fa sempre più fatica ad attrarre le nuove generazioni, dopo i due anni di pandemia la paura e lo stress hanno distanziato papabili professionisti, per questo la ricerca del personale si sta rivelando complessa».
Se ne avessi la possibilità, cosa cambieresti?
«Gli orari strani che sciupano i dipendenti e allontanano le persone, eliminerei lo spezzato e farei solo turni continuati, consentendo però ampia gestione negli impegni personali».
Un altro anno scolastico si è concluso. Cosa consiglieresti ai futuri studenti dell'alberghiero?
«Non lasciarsi sfuggire le molteplici esperienze, studiare e andare all'estero ma, in primis, non demordere alla prima difficoltà. Non è retorica: con passione e perseveranza, i risultati arrivano».