Ha studiato a Riva, fa lo chef alle Maldive dopo aver lavorato con Cannavacciulo: la storia di Emanuele Calabri
Grazie ai preziosi insegnamenti ricevuti in quel di Varone, lavora come head chef nel ristorante italiano «Bellini’s» del gettonato resort Joali, sull’isola di Muravandhoo (atollo di Raa): “Il mio sogno? Tornare vicino casa e aprire qualcosa di mio”
STORIE Le interviste dei trentini all'estero
RIVA DEL GARDA. Se la fame è il miglior cuoco che ci sia, con le prelibate ricette di Emanuele Calabri basta il pensiero per stringere le labbra dall’acquolina. Prossimo ai 28 anni, Emanuele è cresciuto a Mori e ha frequentato l’istituto alberghiero presso il Centro di formazione professionale di Riva del Garda. Grazie ai preziosi insegnamenti ricevuti in quel di Varone, lavora come head chef nel ristorante italiano «Bellini’s» del gettonato resort Joali, sull’isola di Muravandhoo (atollo di Raa), nella parte settentrionale delle Maldive. Nonostante gli ostacoli che la pandemia ha recato al settore lavorativo, Calabri ha continuato ad infarinare le mani arricchendo il curriculum di esperienze significative sotto la guida dei più noti maestri dei fornelli, sino ad approdare nella location paradisiaca. Responsabile di tutto ciò che accade in cucina, si dedica con dedizione a portare nell’oceano indiano la tradizione culinaria italiana, dai ravioli fatti in casa ai risotti dal sapore mediterraneo.
In che modo ha influito la formazione ricevuta presso l’Alberghiero? «Parecchio, in particolare durante l’ultimo anno in occasione dello stage da svolgere presso alberghi o ristoranti. Avevo già le idee abbastanza chiare: ho chiesto di poter essere inserito a Villa Crespi (allora aveva due Stelle Michelin, ora tre, ndr) ad Orta San Giulio dallo chef Antonino Cannavacciuolo, che era ancora poco noto a livello mediatico. La scuola, vista la mia insistenza, mi ha accontentato ed è iniziato un percorso impagabile. Terminato il periodo di stage, ho avuto la possibilità di ritornarvi e lavorare nella brigata di Cannavacciuolo come aiuto cuoco per un anno intero. Successivamente sono stato in altri ristoranti stellati e non, con mansioni sempre più elevate fino a ricevere proposte in grado di Chef. Al momento sono Head Chef nel ristorante italiano Bellini's del resort Joali a Muravandhoo, uno degli atolli più esclusivi delle Maldive».
Cosa ti ha spinto ad intraprendere questa carriera?
«Sin da piccolo ho sperimentato la bellezza del viaggio e questo ha contribuito ad accrescere la mia passione. Il resto è arrivato passo dopo passo, con umiltà e determinazione. Sognavo di diventare un bravo cuoco».
Quali sono state le esperienze che più ti hanno segnato?
«Villa Crespi ha un posto speciale nella mia crescita, dal punto di vista tecnico e mentale. Ho lavorato con grandissimi professionisti, al tempo miei responsabili. Ho avuto la fortuna di lavorare assieme a Giuseppe D'Aquino, allora chef del ristorante Oseleta (Cavaion Veronese) una Stella Michelin e al suo secondo Chef Davide Tangari, diventato un mio caro amico. Ma anche il ristorante Materia, un’altra Stella Michelin, con lo Chef Davide Caranchini a Cernobbio (Como) è nel mio cuore, per non dire il Maaemo ad Oslo, in Norvegia, con le sue tre Stelle Michelin, che ha rappresentato per me un piccolo passaggio prima dell’arrivo del Covid».
Come hai vissuto la pandemia dietro ai fornelli?
«Non è stato semplice, ha interrotto la mia esperienza al Maaemo. Sono partito per la Norvegia a inizio 2020 e lì mi sono trovato bloccato a causa delle restrizioni tra Paesi. Quando ho avuto la possibilità di rientrare in Italia, non mi sono perso d’animo e ho ripreso lavorando dallo chef Caranchini. Tra chiusure e riaperture, si è inserita la chiamata dello Chef Theodor Falser a fine 2020 con la una possibilità di poter dirigere la cucina di un ristorante italiano alle Maldive. Secondo lui rispondevo al profilo richiesto e, dopo qualche riflessione, ho accettato: sono qui da gennaio 2021».
Quali le differenze, nell’ambito della ristorazione, tra Italia e Maldive?
«Qui è essenziale avere la capacità di adattarsi, sia dal punto di vista del cliente che dal punto di vista gestionale. Lavoriamo con prodotti di altissima qualità che devono essere gestiti nel migliore dei modi ma con qualche difficoltà in più rispetto all'Italia. Alle Maldive non riusciamo a reperire prodotti quotidianamente, gestiamo il tutto di settimana in settimana, e l’arrivo delle merci su due giorni. I prodotti europei possono arrivare anche un’unica volta al mese e ciò comporta problem solving, capacità di regolarsi e precisione per garantire freschezza e qualità».
Hai incontrato difficoltà?
«Riuscire ad ottenere la fiducia dello staff e dirigere una cucina in tutte le sue fasi, dagli ordini dell'approvvigionamento alla direzione vera e propria nella preparazione e al servizio, non è stato molto semplice nel primo periodo. Molta soddisfazione, ma impegnativo».
Resti alle Maldive?
«Mi sto trovando molto bene, ma non nascondo che il mio sogno sarebbe tornare vicino casa e aprire qualcosa di mio, coniugando vita privata e vita lavorativa».
Cosa significa essere un giovane chef oggi, tra continui cooking show ed aspettative gourmet?
«Solo con passione si riesce a fare quel salto di qualità che traspare nel piatto. Dietro ad ogni preparazione c'è uno studio, prove su prove, la scelta delle materie prime attinenti all’idea creativa, soprattutto il grande lavoro di un team unito che diventa, nel tempo, una famiglia».
Qual è il piatto che ami preparare?
«Tutto ciò che riguarda pasta fresca, dai ravioli alle paste fatte a mano». Per il contest “Primo Piatto dei Campi 2022” hai raccontato la tua idea di “Pasta e pomodoro del futuro”.
Qual è stato il processo creativo del piatto?
«La presentazione di “Ricordo di un risotto” derivava da un ricordo d’infanzia: il risotto al pomodoro della nonna, al rientro da scuola. Ho cercato di risaltare il pomodoro utilizzando soluzioni non troppo elaborate ma tecniche, in modo da non disperderne l’essenzialità. I semi di Annurca ricordavano nella forma il chicco di riso, sono stati risottati. Il burro affumicato evocava il fuoco della stufa e il pomodoro verde, dalle note agrumate leggermente amaricanti, ricreate dal cedro candito. Il piatto è stato rifinito con una polvere di limone naturale, biologico maturato e annerito».
Se ne avessi la possibilità, cosa cambieresti nel tuo settore?
«Sarebbe bello se in Italia si adottasse il modello lavorativo del nord Europa, con turni divisi su quattro giorni ma sempre rispettati, con una tutela maggiore del lavoratore. Molti colleghi stanno abbandonando questa professione perché in Italia non vedono un futuro prosperoso e dignitoso. Sarebbe eccezionale tornare a casa e trovare condizioni di lavoro ottimali».
È ricominciato l’anno scolastico. Cosa consigli ai futuri studenti dell’alberghiero di Riva?
«Mi sento di dire loro: seguite sempre i vostri sogni e credete in voi stessi per superare la comfort zone: è questo il cambiamento che consente di migliorarsi e affinare la qualità».