Rovereto: Dalzocchio e il vocabolario al femminile
La femminilizzazione dei termini delle professioni continua a tenere acceso un dibattito che molti inseriscono nel filone «sessismo». Sul punto, la presidente del consiglio comunale Mara Dalzocchio si è ampiamente espressa rigettando al mittente la richiesta di «tradurre in rosa» mestieri che, lessicalmente, oggi sono declinati al maschile. E contesta pure il fatto di essere chiamata «presidenta» come, del resto, non trova indispensabile per la crescita culturale e sociale dell’Italia usare parole come ministra, dottora, soldata, deputata.
Una presa di posizione, tra l’altro da donna, che ha stizzito associazioni che da tempo si battono per una parità di genere davvero concreta e non solo di facciata come «Se Non Ora Quando» e «Casa delle Donne». Che, sulla questione linguistica, insistono nel ricordare che si tratta di «un tema particolarmente delicato». E contestano pure l’ironia di cartelloni con scritto «pediatro» o «farmacisto». «Seppure intesa come ironica provocazione può diventare l’esemplificazione di una visione del mondo discriminante e per questo offensiva. Il tentativo di far sorridere le persone e convincerle che c’è qualcosa di più importante di cui parlare significa non cogliere e narrare la complessità della realtà di oggi. Una realtà che poco riconosce e valorizza le differenze e che per questo in moltissime situazioni crea sofferenza e dolore. La lingua non è un sistema statico ma dinamico ed evolutivo che cambia a seconda dei contesti e dei tempi. Oggi non ci si esprime più nella lingua latina, in quella di Dante o Petrarca, nemmeno in quella di Foscolo e Leopardi. Noti linguisti, note linguiste e l’Accademia della Crusca, così come molte istituzioni e università, promuovono l’uso delle declinazioni al femminile. Dire chirurga è quindi corretto dal punto di vista linguistico così come la primaria di oculistica o la giudice, perché il linguaggio non è solo lo strumento con cui comunichiamo ma è anche un sistema con cui descriviamo, comprendiamo, narriamo noi stessi. Connesso con il pensiero, serve a rappresentare la nostra visione del mondo, per questo le discriminazioni di genere in ambito linguistico sono lo specchio delle discriminazioni nei confronti delle donne in ambito sociale, familiare, lavorativo e salariale. Molti di coloro che hanno responsabilità politiche e istituzionali parlano il linguaggio aggressivo della semplificazione. Dietro il termine negro-negra, per richiamare un fatto di cronaca recente, ci stanno il disprezzo, la negazione, il rifiuto dell’integrità di una persona, di un essere umano, della sua storia, cultura e dignità e più o meno consapevolmente, frequentemente, ciò si applica non solo per coloro che vengono da altri parti del mondo e hanno un altro colore della pelle, ma anche per coloro che appartengono a generi diversi. Le parole sono importanti e cercare le parole giuste non è un vezzo formale, tutt’altro».