Aldo Busi diffamato Condannato il blogger
Un’altra vittoria per lo scrittore Aldo Busi: dopo la condanna di primo grado ed il ricorso in appello a carico di Andrea Giovanazzi, un blogger dell’area della destra tradizionalista che su Internet aveva pubblicato l’immagine di uno striscione con la scritta «Aldo Busi infame pedofilo», ieri è arrivata anche la conferma da parte della Cassazione. L’attivista lagarino presidente dell’associazione «La torre di Volano» è stato dunque condannato per diffamazione.
I fatti risalgono al 2015, quando sul sito dell’associazione cattolica era stato messo on line un articolo su Busi in cui venivano raccolte diverse dichiarazioni del noto scrittore, estrapolate dal contesto, e corredate dalla foto di uno striscione con la scritta «Busi, infame pedofilo». Il blogger aveva anche pubblicato un articolo dal titolo «Busi: aggiorniamo il paese (con la pedofilia)» che invece è stato ritenuto non offensivo perché riportava solo dichiarazioni di Busi sulla sessualità dei minori.
Per la Suprema Corte - che non menziona l’entità della pena -, non c’è dubbio che «l’attribuzione ad una persona della qualità di pedofilo è sicuramente lesiva dell’altrui reputazione atteso che in tal modo si attribuiscono tendenze sessuali e condotte penalmente illecite ritenute deplorevoli e persino infamanti dalla collettività». Inoltre l’accostamento del termine «infame» a quello di «pedofilo», prosegue la Cassazione, «non ha un valore neutro», come ha sostenuto Giovanazzi, «ma è diretto ad accrescere la valenza offensiva ed infamante insita nella parola “pedofilo” facendo assumere alla frase il significato di una espressione di disprezzo, volta ad umiliare la persona».
Quanto al fatto che Busi sostenga «l’opportunità di non sanzionare penalmente talune condotte di pedofilia», questo non significa «necessariamente essere attratti sessualmente dai minori prepuberi o addirittura intrattenere con essi rapporti sessuali», prosegue la Cassazione condividendo quanto affermato dalla Corte di Appello di Trento, giudice del merito. Per la Cassazione è dunque «del tutto inammissibile l’equiparazione, che si intende sostenere» nei motivi di ricorso del blogger, «tra il legittimare, entro certi limiti, condotte di pedofilia e l’essere pedofilo, ossia l’essere attratto sessualmente da minorenni o intrattenere con essi rapporti sessuali».
Contestualmente è stato anche respinto il ricorso di Busi che sosteneva di essere stato diffamato anche dall’articolo e che certe sue dichiarazioni erano state fraintese: la Cassazione lo ha condannato a pagare tremila euro per non aver allegato il contenuto delle frasi contestate. Per i supremi giudici, correttamente la Corte di Trento, nel 2017, ha escluso la diffamazione dato che lo scrittore avrebbe detto che «non c’è nessuno scandalo nel masturbare un ragazzo di tredici anni» e sia sia mostrato «tollerante» verso «talune condotte di pedofilia».
Lo scrittore ci teneva tanto a questo procedimento giudiziario da venire al Rovereto proprio per presenziare al dibattimento di primo grado, che si era concluso con la condanna ad un’ammenda di 8 mila euro, con sospensione condizionale subordinata al pagamento di 5 mila euro di provvisionale a Busi. «E così è certificato che non sono un pedofilo. Bene, io lo sapevo già», aveva scherzato all’uscita dall’aula.