Bimbo adescato on line Condannato a 2 anni e 6 mesi
In due avevano preferito evitare il dibattimento pubblico e avevano patteggiato: uno ad un anno 10 mesi, l’altro ad un anno 8 mesi. Il terzo aveva optato per il rito abbreviato e nel febbraio 2018 è stato condannato a 2 anni 6 mesi. Si era chiusa così - e con il risarcimento alla parte lesa, curata dall’avvocato Marcello Paiar - la brutta vicenda di pedofilia scoppiata nella primavera del 2017.
Ieri pomeriggio la sentenza è stata confermata in corte d’appello. E confermata pure la vicenda che aveva scosso, con la violenza di un terremoto, le vite di parecchie persone.
L’inchiesta era deflagrata quando, poco prima di Pasqua, la procura di Rovereto aveva chiesto la custodia cautelare in carcere per tre persone. Pesantissima l’accusa: 609 quater. Tra le violenze sessuali, la più odiosa. Quella che coinvolge i minori di 14 anni. Detta banalmente, pedofilia. A dover rispondere di quell’imputazione, tre uomini: uno di Trento, uno di Bolzano, uno di Rovereto. Non si conoscevano, non si frequentavano. In comune avevano solo la vittima, un tredicenne residente in Vallagarina finito in un gioco più grande di lui.
L’indagine era partita dalla mamma del giovane. Che - un po’ per caso, un po’ perché questa è un’epoca in cui i figli vanno controllati in modo stretto - aveva sbirciato nel cellulare dell’adolescente. Perché i ragazzi a quell’età hanno una vita autonoma e il telefonino permette loro di aggiungere, a quella reale, un’esistenza virtuale di cui spesso le famiglie ignorano i contorni precisi. E la donna, dando un’occhiata ai suoi sms, aveva capito subito che qualcosa non tornava. Il tenore dei messaggi, ma soprattutto i mittenti, l’avevano preoccupata. Si trattava di persone grandi. Un po’ troppo grandi per un tredicenne. E quindi si era presentata alle forze dell’ordine raccontando i suoi timori.
Da lì era partita l’inchiesta, subito concentrata su tre nominativi. Tre figure con le quali il giovane intratteneva contatti inspiegabili rispetto alla sua vita di adolescente. Non erano suoi professori, non erano amici di famiglia, non erano nemmeno conoscenti. E il dubbio che il giovane, finendo in una chat sbagliata, fosse stato adescato per contatti virtuali poco opportuni è venuto agli inquirenti.
È stato solo qualche tempo più tardi che, purtroppo, si è capito che i contorni della vicenda erano ben diversi. Se il primo contatto era avvenuto online, il ragazzo questi tre uomini li aveva anche incontrati, separatamente. Rapporti che, secondo l’accusa, integravano chiaramente il reato di violenza sessuale.
Il giovane non sarebbe stato costretto né minacciato. Né tantomeno pagato. Ma per la legge questo non fa differenza. Il codice tutela i minori di 14 anni per un fatto preciso. A quell’età si è piccoli, spesso immaturi, spesso si vive tutto come un gioco. È possibile che non ci si renda nemmeno conto davvero delle implicazioni di quel che si fa. Per questo il codice pone in capo agli adulti l’esclusiva responsabilità di tutelare i minori. Semplicemente, non devono toccarli. E purtroppo nella vicenda approdata in tribunale questo rispetto sarebbe venuto meno. Da qui l’imputazione.
Ieri in appello si è presentato l’unico «orco» che non aveva patteggiato. E si è visto confermare la condanna a 2 anni 6 mesi. Tra tre mesi si conosceranno le motivazione e solo allora l’uomo deciderà se ricorrere in cassazione.