Addio all'ex Aragno: abbattuto il rudere abbandonato da anni
«Ma quale ecomostro! Poteva diventare una struttura importante a livello turistico ma non si è mai voluto fare niente».
Giacomino Filippi, già assessore al decentramento con il sindaco Roberto Maffei, è la memoria storica di Marco. Ha 80 anni ma l’ex Aragno - demolito dal Comune proprio perché inserito nell’elenco degli ecomostri - l’ha sempre visto lì dov’era, alla Mira.
«Non sono contrario all’abbattimento, adesso, ma bisogna sapere cosa fare dopo».
L’addio alla struttura dei Lavini, comunque, è l’occasione per un po’ di amarcord. Perché anche se da anni è un pessimo biglietto da visita per chi entra in città da Sud una storia, e soprattutto una vita, l’ha avuta anche l’ex Aragno. Che, nell’ultimo decennio, avrebbe anche potuto tornare in attività se qualcuno avesse creduto nella sua rinascita. Ed è qui che vuole arrivare Filippi, prima di andare a ritroso nel tempo fino all’inizio del secolo breve.
«Il Comune non hai mai voluto sistemare la struttura. Ricordo che l’ultimo proprietario, Eugenio Pellegrini, ha presentato più volte dei progetti di rilancio ma non se n’è mai fatto nulla».
L’ultimo tentativo concreto di ripartire risale infatti al 2011. Pellegrini, della società «Parate calme srl», aveva portato in municipio delle osservazioni al Prg. C’era un investitore pronto a finanziare l’idea, sarebbe bastato variare la vecchia destinazione alberghiera della zona per fare un hotel su un quarto dell’area, per destinare il resto a edilizia e soprattutto realizzare un grande parco ludico e didattico dei Lavini. La conclusione di Eugenio Pellegrini fu amara: «Le conseguenze sono che in quell’area non sorgerà mai niente tranne un bar di periferia; nessuna azienda costruttrice si farà mai avanti, mancherà un punto di riferimento per i visitatori per le orme dei dinosauri e per i luoghi della Grande Guerra, mancherà un grande parco a disposizione delle circoscrizioni di Marco e Lizzana e soprattutto non ci sarà sviluppo per l’economia e per il turismo. Vadano a spiegarlo a ditte edili e artigiani che qui avrebbero potuto lavorare per anni».
Adesso, a distanza di due lustri, l’interesse pubblico è proprio quello di valorizzare l’area. Per ora con un parcheggio, poi si vedrà.
«Un parcheggio per chi, per il golf che è dall’altra parte dei Lavini?», incalza Giacomino Filippi. Che, non a caso, invoca «un concorso di idee per immaginare il futuro, per non disperdere la memoria e per trasformarlo davvero in un luogo frequentato».
Rituffandosi nel libro della memoria, cos’era l’ex Aragno? «Innanzitutto non era così: nel 1930 c’era una sola casa, costruita a servizio della cava dei Lavini; la seconda è stata aggiunta nel 1938. Negli anni della guerra, tra il 1940 e il 1945, era diventato un rifugio per sbandati e nel decennio successivo ci vivevano tre famiglie, 12 persone in tutto che lì avevano trovato un alloggio, non avevano niente e, tra l’altro, lì non c’erano né acqua né luce».
Insomma un rifugio - «che mi piacerebbe chiamare Rifugio Pellegrini, perché davvero ci teneva a rilanciare quello spazio» - che ha accolto indigenti usciti con le ossa rotte dal conflitto bellico.
Ma quand’è diventato Aragno? «Quando Giulia Tamburini ha sposato un soldato italiano, Aragno ma non ricordo il nome di battesimo, che dopo la guerra si è fermato qui come recuperante. Hanno avuto tre figli e il più vecchio, Bernardo, l’ha aperto con bar, osteria, punto di sosta».
Il tutto, in realtà, senza permessi ma a quell’epoca un posto dove rifocillarsi e socializzare lungo la statale era un luogo prezioso per la comunità.
«Bernardo era andato a lavorare in Germania, poi ha fatto l’operaio alla Fiat, era un meccanico ed ha pure brevettato il tappo corona».
Ma cosa si vendeva? «Birra e grappa che facevano in casa. però non c’era l’acqua e nemmeno la luce che è arrivata nel 1960. L’acqua la pescavano dal laghetto dei Lavini. Poi si è scoperto che la falda era stata inquinata dal silicato di calcio della cava e allora i pompieri portavano lì l’acqua potabile con le autobotti. Mi piace ricordare che lì si fermava tanta gente, camionisti soprattutto, che in cambio di qualcosa da bere lasciavano magari sacchi di cemento o ferro.
«Era un posto fatto così, ti fermavi, mangiavi e bevevi qualcosa. Con Pellegrini e Frizzi era diventato pizzeria poi è stato abbandonato. Ma i tentativi di farlo ripartire con investimenti di Comune e privati sono sempre falliti».
Ed ora non c’è più. «Già, mi dispiace perché per me, che sono marcolino da sempre, ha rappresentato qualcosa e mi piacerebbe adesso che si lanciasse un concorso di idee per inventare qualcosa su quello spazio».