Se il Mose resta asciutto è per le vernici Viscolor della fabbrica di Rovereto

di Nicola Guarnieri - NO

C’è un pezzo di Rovereto nell’opera più mastodontica realizzata a Venezia: il Mose. Quella barriera costruita per salvare la perla della laguna dall’acqua alta è stata infatti impermeabilizzata dalla Viscolor di Riccardo Vidrih, società leader nel settore che si occupa anche di ripristini industriali, in pratica di rimettere in sesto ponti e viadotti per evitare crolli come il Morandi di Genova.

Il Mose, è noto, è entrato in funzione in questi giorni dimostrando di saper fare il proprio dovere. Ma se a occhio nudo si possono scorgere solo le paratie gialle che si alzano trattenendo la furia del mare, sotto e dentro c’è di tutto, una miriade di «ingredienti» che consentono a quella costruzione ciclopica di svolgere il compito che le è stato assegnato: evitare l’allagamento di Venezia.
«È un piccolo tassello ma è molto importante perché se dentro il “mostro” stagna è anche merito nostro», spiega Riccardo Vidrih.

Insomma, se c’è la possibilità di frenare la marea è anche un po’ merito vostro? «Le paratie si muovono perché dentro la struttura ci sono macchinari che, per funzionare, devono rimanere all’asciutto a venti metri sotto l’acqua. Rendere il tutto impermeabile è quindi importante ed è questo di cui ci siamo occupati».

La roveretana Viscolor, dunque, ha contribuito a separare le acque come un moderno Mosè. E a privare la storia di una sorta di assioma che durava da secoli: la città lagunare invasa ciclicamente dal mare, un fenomeno fotografato e filmato e che piace a tanti turisti ma che rischia di danneggiare definitivamente l’urbe più amata e conosciuta al mondo. Che a fine 2019, per capirci, è stata travolta dalla furia liquida provocando danni per 20 milioni di euro ad opere d’arte ed edifici di pregio.
Qualche giorno fa il Mose è entrato in funzione con tutto il suo concentrato di tecnologia e manifattura: 78 paratoie colossali d’acciaio incernierate nel calcestruzzo.

Il nome di questa barriera meccanica è l’acronimo di «Modulo sperimentale elettromeccanico» ed è, appunto, una complessa opera ingegneristica che separa la laguna di Venezia dall’Adriatico scongiurando alluvioni durante l’alta marea.
Il cantiere è iniziato nel 2003 ma ha subito bruschi stop e indagini della magistratura. A tal punto che lo Stato ha deciso di commissariarlo per evitare tangenti e infiltrazioni (non di acqua, in questo caso) di persone poco gradite alla giustizia. E nei giorni scorsi è stato attivato e sarà riacceso a fine settimana visto che il meteo prevede 135-140 centimetri di acqua alta.

Tornando al manufatto, è stato ideato negli anni Ottanta per difendere Venezia e la sua laguna dall’acqua alta superiore ai 110 centimetri grazie ad un sistema di dighe mobili.

Il primo test operativo è datato 12 ottobre 2014, alla bocca di porto del Lido-Treporti, una delle tre che permettono l’ingresso in laguna. Quel giorno furono sollevate quattro delle 78 dighe chiamate a difendere il capoluogo veneto con un meccanismo composto da cassoni di alloggiamento in cemento armato, cerniere e paratie. Un colosso dell’ingegneria costato, però, ben 7 miliardi di euro.

Una delle imprese che ha partecipato all’...impresa, come detto, è la Viscolor di Rovereto. Che ora, tanto per rimanere in termini nautici, non naviga in buone acque ma punta a riprendersi e rilanciarsi. «Fino a qualche anno fa avevamo 70 dipendenti. - ricorda Vidrih - Ora siamo meno ma presto torneremo su quei livelli e, anzi, li supereremo».

Il Mose, in questo caso, non c’entra. «No, le impermeabilizzazioni sono uno dei nostri settori ma la nostra forza è che facciamo un lavoro molto alla moda di questi tempi: ripristini strutturali. In pratica sistemiamo i ponti che rischiano di crollare. Anas e Autostrade d’Italia, da questo punto di vista, hanno avviato tantissimi cantieri in tutto il Paese. Solo in Provincia andiamo a rilento perché si preferisce puntare sui mega-appalti anziché ridurli e dare lavoro alle imprese locali».

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